De Gasperi con il Presidente americano, Henry Truman, e il Segretario di Stato, Dean Acheson.

Quando nell’aprile del 1949 venne siglato a Washington il trattato istitutivo del Patto Atlantico, questo accordo rappresentava più una garanzia di carattere politico da parte americana nei confronti della sicurezza delle nazioni dell’Europa occidentale che una vera alleanza di natura militare. Sino a quel momento infatti le valutazioni occidentali circa la politica di Stalin verso il vecchio continente partivano dal presupposto che la minaccia sovietica avesse contenuti politici, propagandistici ed economici e che non fosse intenzione dell’URSS attuare un’aggressione armata per la conquista di tutta l’Europa. In ogni caso i leader militari statunitensi e britannici, che dalla fine della seconda guerra mondiale avevano proseguito nella pianificazione strategica congiunta erano pienamente consci che nessuno dei due alleati era in possesso degli strumenti per contenere una possibile invasione da parte dell’Armata Rossa: dopo il 1945 gli Stati Uniti avevano smantellato gran parte del loro immenso apparato militare per favorire il passaggio da un’economia di guerra ad una economia di pace, quanto alla Gran Bretagna, essa era uscita enormemente indebolita dal conflitto, era alle prese con seri problemi economici e doveva gestire la crisi dell’Impero. La presenza militare americana in Europa era limitata d’altronde alle truppe d’occupazione in Germania, in Austria e a Trieste: qualche decine di migliaia di soldati appartenenti a unità non combattenti; a Londra e a Washington si era previsto che in caso di aggressione russa nel volgere di poche settimane tutto il continente con l’eccezione delle isole britanniche sarebbe passato sotto il controllo sovietico e gli angloamericani avrebbero avuto bisogno di almeno un paio d’anni per ripetere un’operazione su vasta scala sul modello di “Overlord”.

L’interpretazione americana circa le intenzioni di Stalin mutò radicalmente tra la fine del 1949 e la prima metà del 1950. Alla fine di agosto del 1949 l’URSS effettuava il suo primo esperimento nucleare, gli Stati Uniti perdevano così il monopolio dell’arma atomica alcuni anni prima di quanto era stato previsto, scatenando tra l’altro nell’opinione pubblica un crescente timore di un conflitto nucleare. Nella primavera del 1950 il National Security Council americano approvava il documento NSC/68 con il quale l’Unione Sovietica veniva ora individuata anche come una minaccia militare e la risposta americana si sarebbe espressa da un lato nel passaggio dall’arma atomica a quella termonucleare, dall’altro su un piano di riarmo convenzionale degli stessi Stati Uniti e degli alleati europei grazie anche al Mutual Defense Assistance Program. Infine nel giugno del 1950 la Corea del Nord invadeva la Corea del Sud, provocando un intervento militare americano a fianco dei sud coreani. Nelle interpretazioni occidentali, in particolare di Washington e di Londra, l’azione in Estremo Oriente era stata dettata da Stalin e aveva tra l’altro l’obiettivo di distrarre gli Stati Uniti dallo scenario europeo, inoltre era facile compiere un paragone tra la situazione esistente in Corea e quella in Germania – due nazioni divise inserite in campi contrapposti e ostili – temendo cosi che quanto era accaduto in Asia potesse ripetersi in Europa. In realtà, fin dal 1949 i leader militari americani e britannici erano giunti alla conclusione che un’efficace difesa dell’Europa occidentale potesse essere conseguita solo consentendo il riamo della Repubblica Federale Tedesca, che nata nel 1949 per il momento non aveva diritto a possedere un ministero della Difesa, un ministero degli Esteri e delle forze armate. L’invasione della Corea del Sud fece cadere a Washington e a Londra le ultime remore derivanti dal ricordo della seconda guerra mondiale.

Nell’agosto del 1950 si tennero negli Stati Uniti una serie di incontri fra il segretario di Stato americano Dean Acheson, il suo omologo inglese Ernest Bevin e il ministro degli Esteri francese Robert Schuman. Da parte americana e britannica si propose il rapido riarmo della Germania Ovest e il suo inserimento nell’Alleanza Atlantica. Questa ipotesi venne fermamente respinta da Schuman. Le autorità francesi ben sapevano che la propria opinione pubblica ben difficilmente avrebbe accettato di vedere tedeschi in uniforme a soli cinque anni dalla fine del conflitto; inoltre si temeva che una Germania riarmata avrebbe acquisito una piena autonomia; ciò le avrebbe consentito alternativamente di puntare alla riunificazione grazie a un accordo con Mosca o di divenire il più importante alleato europeo degli Stati Uniti. In entrambi i casi la Francia avrebbe visto fallire il suo obiettivo di fondo: acquisire la leadership dell’Europa occidentale. Nonostante l’opposizione francese i piani per il riarmo della Repubblica Federale proseguirono, nel frattempo con il pieno sostegno americano si passava alla creazione di una struttura militare del Patto Atlantico – la North Atlantic Treaty Organization (NATO) – con la costituzione di un comando integrato (SHAPE) che avrebbe avuto sede a Fontainebleau nei presso di Parigi e la nomina del generale Dwight Eisenhower a comandante in capo delle forze dell’Alleanza atlantica (SACEUR).

A Parigi si comprese dunque che prima o poi gli Stati Uniti avrebbero provveduto a riarmare la Germania Ovest a dispetto dei timori francesi. In questo stesso periodo d’altronde la Francia aveva un disperato bisogno del sostegno americano per il conflitto in Indocina contro le forze del Vietminh. Parigi contava comunque sul forte interesse americano a favorire l’integrazione europea, come dimostrato dal sostegno di Washington al Piano Schuman – in realtà opera di Jean Monnet – che avrebbe condotto tra il 1951 e il 1952 alla nascita della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA). Si ritenne così che l’applicazione dell’approccio monnetiano al problema della difesa europea potesse essere accolto con favore dall’amministrazione Truman. Ancora una volta su ispirazione di Monnet, nell’ottobre del 1950 il Primo Ministro francese René Pleven annunciava il piano per la creazione di un esercito integrato europeo che avrebbe poi trovato espressione nella Comunità Europea di Difesa (CED). La prima reazione di Washington fu però scettica, se non negativa, temendo di trovarsi di fronte al mero tentativo di ritardare il riarmo della Germania. Questo scetticismo era condiviso dai partner di Parigi che accettarono comunque la prospettiva di un negoziato al quale aderirono il Belgio, il Lussemburgo, la Repubblica Federale e l’Italia mentre in una prima fase gli olandesi ebbero solo il ruolo di osservatori.

Le trattative si aprirono nel febbraio del 1951 a Parigi in un clima di dubbio che caratterizzò i primi mesi dei colloqui. Contemporaneamente però a Washington si apriva un dibattito all’interno dell’amministrazione che conduceva a un radicale rovesciamento di posizioni favorito anche dalle missioni di Schuman e Monnet nella capitale americana e dai contatti da loro avuti con il generale Eisenhower. Le autorità statunitensi si convinsero che le intenzioni francesi fossero serie e che la CED avrebbe potuto rappresentare un passo decisivo verso l’integrazione europea sotto la guida di Parigi, che d’altronde con il sostegno americano stava sopportando un importante onere militare in Indocina. Di fronte all’evoluzione nella politica degli Stati Uniti, ora divenuti i più forti sostenitori della CED, i negoziati di Parigi subirono una accelerazione e la nascita di un esercito europeo apparve un obiettivo realizzabile, anche perché’ nel contempo l’Europa occidentale stava riarmando anche grazie all’appoggio americano.

Fu in questo frangente che il governo italiano, che considerava la CED non rispondente agli interessi nazionali, ma non poteva venir meno all’impegno verso la costruzione europea, puntò sul progetto di Comunità Politica Europea (CPE), da realizzare una volta entrato in vigore il trattato CED. Il piano di De Gasperi avrebbe trovato espressione nell’art. 38 del trattato CED e nell’anticipato avvio delle discussioni intorno ai caratteri della CPE attraverso i lavori della cosiddetta “assemblea ad hoc”. Il progetto degasperiano trovò il sostegno sia di Schuman e Adenauer, sia del governo statunitense, che vi vide un altro possibile passo in avanti verso l’unione europea.

Contemporaneamente alle trattative sulla CED si svolgevano negoziati fra le tre potenze occidentali che mantenevano truppe di occupazione in Germania e il governo di Bonn. Adenauer era pronto a rinunciare a un esercito nazionale ma voleva vedere riconosciuta la piena sovranità della Repubblica Federale. Alla fine di maggio 1952 veniva siglato a Parigi il trattato costitutivo della Comunità Europea di Difesa. In seguito fu firmato il trattato di Bonn che prevedeva la restituzione della piena sovranità alla Germania Ovest, questo accordo avrebbe trovato attuazione una volta realizzata la CED. Per gli Stati Uniti d’altronde il tutto si legava alla politica di riarmo del blocco occidentale, inclusi i “sei”, che puntava a un’Europa occidentale forte nel settore della difesa anche grazie a un diverso “burden sharing”, in parte favorito dalla presenza di un esercito integrato europeo.

 Le speranze in una rapida attuazione del trattato CED si scontrò ben presto con il problema delle ratifiche, determinato in alcuni paesi da questioni istituzionali − Belgio e Olanda – dalle laceranti divisioni nel mondo politico francese, dall’attività in Germania, Francia e Italia dell’agguerrito movimento pacifista dei “partigiani della pace”, segretamente sostenuto dall’URSS. Nel frattempo nel novembre del 1952 i repubblicani vincevano le elezioni presidenziali negli Stati Uniti e alla Casa Bianca si insediava il generale Eisenhower. Il programma repubblicano in politica estera ripudiava la politica del “containment” ritenuta debole e puntava su un “New Look” che si articolava intorno alle parole d’ordine di “roll-back”, “liberation” e “massive retaliaton”. Quanto alle relazioni con gli alleati europei la nuova amministrazione auspicava una politica di dura lotta al comunismo sul piano interno e richiedeva con forza una rapida creazione della CED. Si riteneva inoltre che gli alleati europei dovessero fare di più nel settore della difesa; ciò era coerente con l’intenzione del governo americano di tagliare le spese federali puntando sull’arma atomica piuttosto che sugli armamenti convenzionali – a questo avrebbero dovuto pensare i partner europei – e sulle “covert operations” della CIA.

L’atteggiamento statunitense sulla CED si fece quindi più duro e non mancarono pressioni sempre più forti su quei paesi, in particolare la Francia e l’Italia, che non avevano ancora ratificato il trattato. Ma nel marzo del 1953 Stalin moriva e i suoi successori della “direzione collegiale” parvero puntare su una politica di pace che trovò espressione in una serie di aperture di dialogo con lo scopo di divedere gli alleati europei da Washington. Non era un caso che soprattutto in Francia cominciò a farsi strada la malcelata speranza che il nuovo corso sovietico potesse evitare il riarmo della Germania, inoltre alla guida del Quai d’Orsay Schuman era stato sostituito da Georges Bidault, scettico sull’approccio sovranazionale insito nella CED e nel progetto di CPE.  

A rendere la situazione ancor più complicata nel giugno del 1953 giungeva la sconfitta di De Gasperi – strenuo sostenitore della CED e della CPE – alle elezioni politiche e la costituzione di un governo Pella che avrebbe impostato una politica nazionalista facendo comprendere che il trattato CED sarebbe stato ratificato se gli anglo-americani avessero sostenuto le ragioni italiane sulla questione di Trieste. Quanto al governo inglese, dalla fine del 1951 retto nuovamente da Winston Churchill, non escludeva la possibilità del dialogo con Mosca; inoltre pur avendo dato una serie di garanzia circa la difesa del continente europeo, non era certo entusiasta dei progetti CED e CPE, alcuni suoi esponenti sostenevano infatti in documenti riservati, che organismi sovranazionali si sarebbe tradotti nel volgere di alcuni anni nel predominio tedesco occidentale sull’Europa occidentale. Da parte loro le autorità di Washington, che non credevano alla buona fede sovietica, si mostravano sempre più irritate con i partner europei, con l’eccezione della Germania di Adenauer che ratificava il trattato CED, qualificandosi come il più affidabile alleato dell’America. Sintomo di questa crescente sfiducia era ad esempio la dichiarazione del segretario di Stato John Foster Dulles che aveva minacciato un “agonising reappraisal” nell’impegno statunitense verso la difesa europea se la CED non fosse stata attuata.

Nel dicembre del ’53 in un vertice anglo-franco-americano alle Bermuda la delegazione francese fu sottoposta a durissime critiche dai leader americani. In realtà a Washington non si comprendeva che tali prese di posizione spingevano una parte dell’opinione pubblica francese a rigettare la CED vista ora come una pesante interferenza americana. Al contempo però Washington finiva con l’accettare una serie di richieste francesi nella speranza che ciò potesse favorire la ratifica del trattato di Parigi: dalla convocazione di una conferenza dei ministri degli Esteri delle quattro potenze occupanti da tenersi a Berlino intorno al futuro della Germania, conclusasi in un nulla di fatto, al continuo supporto militare alle forze francesi in Indocina, per concludere con la prospettiva della convocazione a Ginevra di una conferenza internazionale sulla Corea e l’Indocina aperta a tutte le parti in causa, fra cui l’URSS e Cina Comunista.

In realtà i deboli governi francesi erano ormai dubbiosi circa la possibilità di presentare il testo del trattato CED in parlamento temendo che non vi fosse una maggioranza sicura per la ratifica; oscillavano dunque tra le richieste di modifiche che ne attenuassero i caratteri sovranazionali e la speranza che un qualche sviluppo in campo internazionale rendesse inutile l’esigenza del riarmo tedesco. A Parigi però si doveva fronteggiare anche la sempre più difficile situazione in Indocina ove era evidente come fosse necessaria una soluzione politica, di qui la richiesta per una conferenza internazionale, ma si riponeva fiducia in una vittoria sul Vietminh che consentisse di negoziare da una posizione di forza. È inutile dire come per Washington invece la Francia non dovesse interrompere il suo impegno in Estremo Oriente visto non più come una guerra coloniale, ma come un conflitto della guerra fredda contro il nemico comunista.

Nell’aprile del 1954, pochi giorni dopo l’apertura della conferenza di Ginevra, la forza francesi subivano una pesante quanto umiliante sconfitta a Dien Bien Phu ad opera del Vietminh. Tale evento provocava una grave crisi politica a Parigi con la caduta del governo Laniel e la nomina a primo ministro del radical-socialista Pierre Mendes France, notoriamente scettico sulla CED e sull’integrazione europea di stampo monnetiano. In prima battuta, giunto a Ginevra Mendes France otteneva un accordo sull’Indocina che per la Francia si traduceva in un “disimpegno con onore”, grazie anche all’atteggiamento moderato assunto dall’URSS e dalla Cina. Gli Stati Uniti decidevano di non firmare gli accordi ritenendoli troppo favorevoli alle potenze comuniste e cominciavano a sospettare che dietro questo accordo vi fosse un “marchandage planetaire” tra Mendes France e Mosca che avrebbe visto il primo accettare il sabotaggio della CED in cambio della moderazione di Mosca sul conflitto indocinese.

In realtà il premier francese era convinto che il trattato di Parigi non godesse di una maggioranza parlamentare disposta a ratificarlo; riteneva dunque che unica via d’uscita fosse una serie di modifiche che ne eliminassero i caratteri sovranazionali. In occasione di una conferenza tenutasi a Bruxelles Mendes France, che sostenne le sue tesi sulla modifica del trattato, si scontrava con la dura opposizione dei rappresentanti belgi, tedeschi e americani, mentre gli italiani assumevano un atteggiamento di basso profilo. Nel rientrare a Parigi il primo ministro francese faceva tappa a Londra dove incontrava Churchill e il segretario di Stato Eden che gli fecero intuire come da parte loro la fine della CED non avrebbe provocato drammi e che lo avrebbero aiutato. Mendes France decise dunque di presentare il trattato al vaglio dell’Assemblea Nazionale dove una maggioranza di gollisti, comunisti, numerosi socialisti e radicali bocciarono la Comunità Europea di Difesa e con essa il progetto di Comunità Politica Europea.

Questo evento determinò una delle più gravi crisi nei rapporti transatlantici di tutto il periodo della guerra fredda: gli Stati Uniti infatti minacciarono di rinunciare alla garanzia della sicurezza europea. Fu il governo inglese a intervenire con un’opera di moderazione e con l’elaborazione di un piano – in realtà pronto da tempo – che venne illustrato da Eden ai leader di Francia, Germania Ovest, Italia e del Benelux. Si trattava in effetti di una soluzione rapida, pragmatica, relativamente semplice e che, tra l’altro, rispondeva agli interessi di Londra. La Germania Ovest avrebbe riarmato su base nazionale e sarebbe entrata a far parte della NATO, si sarebbe inoltre riformato il Patto di Bruxelles allargandolo alla Repubblica Federale e all’Italia; ciò avrebbe rappresentato una garanzia nei riguardi della Francia con un’alleanza di cui gli Stati Uniti non facevano parte e in cui Londra e Parigi avrebbero potuto cooperare strettamente.

Veniva così convocata a Londra una conferenza internazionale alla quale partecipavano, oltre ai leader dei “sei”, i rappresentanti degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e del Canada. Il progetto inglese finì con l’essere approvato e come ulteriore garanzia nei riguardi della Francia Adenauer rilasciò una dichiarazione nella quale sostenne che la Germania Ovest non avrebbe mai costruito sul suo territorio armi atomiche, batteriologiche e chimiche. Qualche settimana più tardi, alla fine di ottobre, a Parigi venivano siglati tre accordi, che avrebbero tracciato sino alla fine della guerra fredda le relazioni transatlantiche e i caratteri della difesa dell’Europa. In primo luogo la Germania Ovest entrava a far parte della NATO con la prospettiva di creare un esercito nazionale ma inserito nell’Alleanza Atlantica, in secondo luogo il governo di Bonn riconquistava la piena sovranità con l’ovvia eccezione delle zone di occupazione occidentale di Berlino Ovest; infine il Patto di Bruxelles veniva aggiornato e ampliato trasformandosi in Unione dell’Europa Occidentale (UEO).

Dopo aver combattuto strenuamente per veder realizzata la CED le autorità americane accolsero la soluzione avanzata dai britannici in maniera positiva: la NATO era stata rafforzata sul piano militare e Washington sembrava aver acquisito in Europa un partner ben più affidabile e condizionabile della Francia: la Repubblica Federale Tedesca. Inoltre grazie all’alleanza atlantica e all’ombrello atomico americano gli Stati Uniti avrebbero avuto strumenti efficaci con cui influenzare le posizioni degli europei occidentali per tutto il periodo della guerra fredda e oltre. La Gran Bretagna per un breve periodo riusciva a ricreare una sorta di “entente cordiale” con la Francia fondata su alleanze tradizionali e sui comuni interessi tardo-imperiali, accantonando il progetto di Monnet fondato su una parziale integrazione sovranazionale e su una intesa franco-tedesca. I francesi vedevano sì la Germania Ovest riarmata, ma mantenevano il pieno controllo sulle proprie forze armate e nel dicembre del 1954 Mendes France avrebbe lanciato in forma segreta il progetto per la realizzazione di un’arma atomica francese, ponendo così le basi di una perdurante supremazia militare francese rispetto alla Germania Ovest. Monnet e gli altri sostenitori dell’integrazione europea, usciti sconfitti dal lungo dibattito sulla CED e sulla CPA, avrebbero finito con il concentrare la loro attenzione sul contesto economico, dove tra l’altro la CECA aveva già dimostrato la sua validità, con l’avvio di quel processo che nel marzo del 1957 avrebbe condotto ai trattati di Roma e alla nascita della CEE e dell’EURATOM.

Con il fallimento della CED l’Europa rinunciava alla creazione di un esercito integrato delegando la propria sicurezza agli Stati Uniti. Se tale evento avrebbe consentito di dedicare maggiori risorse allo sviluppo economico e alla creazione di sistemi di “welfare state”, avrebbe però anche limitato la libertà d’azione europea, condizionandone tuttora l’ambizione ad essere un attore forte ed autonomo da Washington sullo scenario internazionale.

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