Il tema che in questo momento storico impegna nel suo svolgimento compagini politiche interne ed internazionali è senza dubbio la costituzione di un futuro esercito europeo, concetto strettamente connesso a quello più generale dell’integrazione europea che sappia superare il limite nazionalistico, anche nelle materie dove gli Stati sono particolarmente avversi a cedere la propria sovranità, come appunto nei settori della difesa e della sicurezza.

Le iniziative tese alla realizzazione di una difesa comune si mostrano come una sorta di “indicatore” della volontà effettiva degli Stati di realizzare compiutamente l’integrazione europea, perché il processo di unificazione non potrà in nessun caso essere definitivamente realizzato se i settori della difesa e della sicurezza rimarranno nelle decisioni dei singoli Governi ed in assenza di una direzione unitaria.

Una Forza armata europea, in cui caratteristiche ordinative, culture e specificità militari nonché volontà nazionali, siano cedute ad un unico comando è una realtà non completamente partecipata dai paesi membri dell’UE. Le discettazioni diplomatico-politiche in merito possono essere e sono state molteplici, tutte in parte valide e storicamente tentate, ma di fatto sempre non realizzate. Tuttavia gli stessi politologi, diplomatici e rappresentanti dei governi, che negli anni si sono confrontati e scontrati sull’argomento per mezzo di veti e/o voti in simposi internazionali e nazionali, hanno gettato comunque un seme che ad oggi sta dando frutti maturi.

In tale ottica non vi è dubbio che tra coloro che riuscirono a far sentire come necessario un progetto comune, base dell’attuale idea che possiamo senza dubbio definire di “Patria Europa”, fu Alcide De Gasperi, il quale spinse verso una politica meno autoreferenziale, come missione e responsabilità.

LA CED NELL’“ETÀ DEGASPERIANA”
Negli anni della transizione postbellica – non a caso denominata correntemente “età degasperiana” – la centralità avuta dall’operato del grande statista ed intellettuale costituisce un luogo argomentativo ampiamente condiviso dalla ricerca storica. In tempi recenti la storiografia ha, infatti, ricostruito con attenzione e sostanziale equilibrio sia il ruolo propulsivo svolto da De Gasperi, negli anni di incubazione del progetto democratico, sia i vari passaggi istituzionali che lo hanno visto protagonista del processo di fondazione del rinnovato ordine politico interno ed internazionale.

All’epoca la questione rimaneva di politica interna, i Governi dovevano ancora ricercare un nuovo assetto di Difesa nazionale per poi convergere verso quella comune e solo a seguito di una simile volontà si sarebbe potuto sviluppare il progetto sotto l’aspetto tecnico-militare.

Chi svolge attività militare analizza i fatti e ne trae conseguenze e l’analisi storica degli eventi legati alla definizione del progetto che a noi interessa suggerisce l’importanza della lunga esperienza intellettuale ed istituzionale maturata nei primi anni Quaranta e successivi Cinquanta del secolo scorso.

La mancata approvazione del Trattato sulla CED nel 1954 fu di certo una spina difficile da togliere lungo il cammino impervio verso la realizzazione del piano comune, ma è interessante capire perché lo statista italiano abbia considerato come funesto il rifiuto di tale fondazione. De Gasperi aveva capito l’importanza a livello strategico di tale momento storico che segna tutto il divenire successivo. Anche se sembra un tornare troppo indietro nella storia, è cruciale comprendere quel 30 agosto e quell’artificio procedurale, la mozione pregiudiziale verso la CED all’Assemblea nazionale francese.

Gli Stati Uniti, alla fine del 1950 vedevano Eisenhower quale membro delle forze atlantiche in Europa e quando quest’ultimo fu eletto Presidente l’appoggio americano alla CED divenne insistente. Quei 319 voti contrari scontentarono non solo le potenze firmatarie ma anche le volontà americane. D’altro canto, all’indomani di una guerra mondiale, va evidenziato che erano numerosi i leader che già si prodigavano per avviare un cammino comune.

Il fallimento sembrava dimostrare che, almeno in Francia, l’opinione pubblica non era convinta dell’idea di integrazione europea ed il fatto che si trattasse di questioni militari, quelle in cui il sentimento nazionale restava vivo, spiega quanto fosse e sia cruciale una condivisione di concetto europeo di difesa e sicurezza. Si stava cercando faticosamente un equilibrio politico strategico che di fatto fu interrotto. Nel 1955, però, qualcosa cambiò, cambiò con la Conferenza dei sei ministri della CECA, conferenza fatta di esperti riunita a Bruxelles sotto la presidenza belga che studiò due progetti: Euratom e il Mercato comune, e così nello stesso anno anche con la Conferenza dei 4 Capi di Governo si ricominciava a credere, nonostante i miseri risultati, all’esistenza di un nuovo spirito di Ginevra tale da sostituire la Guerra Fredda con la coesistenza tra i popoli europei.

LA BUSSOLA STRATEGICA
Non vi è dubbio che siamo, in tali anni, giunti ad una nuova fase delle relazioni internazionali in cui le vecchie tradizioni diplomatiche, senza essere sparite, non sono più sufficienti a spiegare i rapporti fra Stati, e devono far posto a nuovi metodi ai quali i governi e le opinioni pubbliche hanno bisogno di adattarsi. Gli Stati Uniti stavano allargando e sviluppando alleanze, le relazioni tra URSS e paesi comunisti europei si delineavano, le relazioni tra i due blocchi affrontavano tematiche come il progresso accelerato della tecnica militare, le riserve di bombe ad idrogeno, la sperimentazione di missili teleguidati che di fatto allargavano i confini e dilatavano le zone di interesse geostrategico

Solo dopo quasi 70 anni, alla fine di marzo 2022, l’approvazione della Bussola strategica (Strategic Compass) ci offre la sensazione tangibile di un disegno transnazionale, condiviso e concertato: il superamento di quel fallimento del 1950 ed il convergere verso una nuova visione del mondo e di quale posizione l’Europa dovesse occupare al suo interno. Un progetto che istituisce un corpo di intervento europeo misto di 5 mila soldati e che promuove il coordinamento delle politiche di difesa formulando proposte concrete, con un calendario di attuazione preciso (obiettivi entro il 2030).

La Bussola Strategica è un’iniziativa guidata dagli Stati membri dell’UE che mira a fornire chiarezza e orientamenti sulla politica di sicurezza, nonché a stabilire una comprensione comune delle principali sfide e minacce per l’Europa a breve e medio termine.

Per rafforzare la sicurezza e la difesa dell’UE, si struttura attorno a quattro pilastri: partner; investimenti; azione ed appunto sicurezza. L’obiettivo è “rendere l’UE un garante della sicurezza più forte e capace”, spiega in una nota il Consiglio Europeo.

Questo è il primo passo in senso operativamente tangibile e si intuisce che in tale momento vi sia la necessaria volontà di andare verso la reale costruzione di un sistema militare unico. Esigenza, ad oggi, dettata con forza dal momento storico che vede al confine russo la contrapposizione di blocchi “antichi” e la ricerca di futuri equilibri. Le potenze europee che sino ad ora si erano ritenute capaci di gestire la sicurezza in modo proprio o comunque condividendo solo una parte della propria sovranità decisionale in tale settore, adesso, invece, sentono come prioritario il ricorso ad una Difesa compatta che garantisca la forza d’urto congrua, qualora richiesta, a fronte della minaccia militare da parte di una superpotenza o di più realtà statuali che congiunte possono rappresentare una minaccia reale ad un equilibrio consolidato e perseguito per molti anni: quello europeo.

LA NASCITA DELLA PESD
Il complesso percorso verso una condivisa sicurezza ha visto, negli anni immediatamente seguenti alla firma del Trattato di Amsterdam, una serie di Consigli europei tenutisi ad Helsinki, Feira e Nizza, che avevano avviato il processo per la concretizzazione graduale delle capacità autonome europee, qualora la NATO non fosse impegnata nel suo complesso, per condurre operazioni di Crisis Management. Nel quadro della realizzazione di un approccio coerente e globale dell’Unione alla gestione delle crisi, comprendente gli strumenti politici e le capacità militari, il Consiglio Europeo di Helsinki (dicembre 1999), in particolare, ha sancito la determinazione Europea di sviluppare capacità decisionali autonome e di avviare e condurre operazioni militari sotto egida europea in risposta a crisi internazionali, qualora la NATO opti per non intervenire come organizzazione.

Gli Stati Membri si sono impegnati a sviluppare, evitando duplicazioni non necessarie, tutte le capacità atte a condurre le cosiddette missioni di Petersberg (che vanno dall’humanitarian aid al peace enforcement) in supporto alla Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), in particolare hanno stabilito l’Headline Goal − obiettivo primario − per lo sviluppo della capacità militari Europee, che può così essere sintetizzato:

  • costituzione di una forza capace di affrontare tutte le missioni di tipo Petersberg, forte di 15 brigate o fino a 60.000 uomini la cui forza sia “self-sustaining” con capacità di comando, controllo, intelligence, di combat support e logistiche e in aggiunta, quando appropriato, con elementi navali ed aerei;
  • essere in grado di proiettare la forza entro 60 giorni e fornire unità minori di reazione rapida disponibili e proiettabili in tempi più brevi;
  • essere in grado di permanere in teatro per almeno un anno.

A tale impegno, come dichiarato nella iniziale Capabilities Committment Conference del 20 novembre 2001, l’Italia ha aderito con un notevole contributo di personale ed assetti. Con il Consiglio Europeo di Nizza (2001) sono poi state istituite, con atto del Consiglio dell’Unione, un’architettura definitiva e nuove strutture politiche e militari permanenti tese ad assicurare il controllo politico e la direzione strategica delle crisi, nonché la condotta delle operazioni: era nata la Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD) quale parte e strumento della PESC. La denominazione PESD è stata adottata per la prima volta nel vertice di Colonia del giugno 1999, mentre successivamente ad Helsinki viene aggiunta la prerogativa “comune” (Politica europea di sicurezza e di difesa comune, in inglese Common European Security and Defence Policy – CESDP).

Nel quadro dello sviluppo di forze “separabili ma non separate” rispetto a quelle dell’Alleanza Atlantica, data l’appartenenza di diversi Paesi alle diverse organizzazioni, si è subito posto il problema della determinazione ed applicazione di modalità che consentano all’UE di accedere agli assetti ed alle capacità comuni della NATO. Berlin Plus fu l’accordo mirato al superamento di tale impasse, il cui iter è iniziato in ambito rapporti NATO-UEO e si è “trasferito” in quello NATO-UE con il Vertice della Alleanza Atlantica di Washington, nel 1999.

Il 16 dicembre 2002, l’Unione Europea e la NATO hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta per “una nuova era di coordinamento tra le due organizzazioni multinazionali”. Ciò ha costituito l’esito positivo proprio dell’accordo Berlin Plus, con riferimento alla disponibilità per l’Unione delle capacità di pianificazione della NATO.

LA DIFESA EUROPEA POST-UCRAINA
Oggi, il Berlin Plus è concluso e si è giunti allo stadio di pianificazione per la definizione congiunta di assetti NATO attuali e futuri “pre-identificati” e disponibili all’UE in operazioni a guida europea. L’aspetto centrale è costituito dalle modalità di coinvolgimento delle strutture dell’UE, in particolare della partecipazione di Ufficiali del Military Staff dell’Unione alle attività di SHAPE.

Ma la necessità che ad oggi si impone con maggior forza, anche dopo il tracciato di eventi sin qui delineato, è che l’Unione Europea post casus Ucraina dovrà, in ogni caso, dotarsi di procedure rapide ed efficaci per la gestione delle crisi dispiegando strutture operative militari e favorendo, nel contempo, quella flessibilità nel processo decisionale e di azione che garantiscano la coerenza e l’efficacia dall’intervento armato. Per questo motivo i paesi membri dovranno valutare la possibilità di passare dalla attuale decisione all’unanimità (art. 42 del Trattato sull’Unione Europea, TEU) ad altre modalità e tecniche normative improntate ad una cultura di solidarietà tra gli Stati membri.

Corollario di questo primo traguardo è rappresentato dalla definizione del concetto di difesa comune, ossia la delimitazione del perimetro d’azione e l’individuazione dei fattori di rischio per gli Stati dell’UE. Uno degli elementi essenziali per la credibilità della politica di difesa dell’Unione, e di conseguenza per la credibilità del suo ruolo internazionale, è l’esistenza di capacità militari interoperabili che garantiscano efficacia e coerenza di azione. Sebbene molto sia già stato fatto, occorre, tuttavia, da un lato garantire la piena realizzazione dell’obiettivo primario di Helsinki e, dall’altro, verificare se non sia opportuno rivedere gli obiettivi di capacità.

Le Forze armate dei Paesi europei hanno acquisito, negli anni, un elevato livello di integrazione dal punto di vista operativo ed una lunga esperienza di cooperazione a tutti i livelli: dalla pianificazione allo svolgimento di operazioni in comune, alla standardizzazione dei materiali ed assetti. Tale livello di integrazione è stato certamente possibile grazie alla collaborazione in seno all’Alleanza Atlantica ed alla possibilità di “parlare un linguaggio comune”.

I due piani: quello strategico-politico e strategico militare sono senza dubbio facce della stessa medaglia, come a dire che il pensiero non ha ragion d’essere se non si realizza nell’azione e viceversa l’azione non trova sostegno e ragione d’essere senza il pensiero a sostenerla.

L’esperienza trascorsa in campo internazionale, insegna che i militari europei sono in grado, adesso, di agire congiuntamente ed efficacemente quindi è il momento della scelta della responsabilità strategico-politica a sostegno di questa capacità militare reale. Ragione aveva lo Stato Maggiore Difesa negli anni ’50 a richiedere una presa di responsabilità da parte politica prima di realizzare un Esercito europeo, poiché se non vi è responsabilità nella scelta strategica dell’azione quest’ultima non trova ragione ed obiettivo finale creando confusione financo nella scelta tattica. Nondimeno si intuisce che negli anni postbellici vi fosse una diffusa diffidenza tra gli Stati europei che ad oggi svanisce a fronte del superato problema di un equilibrio post guerra.

Gli Stati europei si ritrovano oggi a condividere tutti una stessa storia ed ancor di più una stessa cultura. È certo che il federalismo come la sovranazionalità sono temi complessi, ma altrettanto certo è che sino a quando la sovranità è rimasta ancorata al singolo Stato e non è stata posta al centro della struttura comunitaria non si è potuto parlare di una vera e propria organizzazione internazionale sovranazionale. Il trasferimento di competenze dagli Stati membri alle istituzioni dell’organismo sovranazionale avviene nel momento in cui, al termine di una negoziazione, i Parlamenti nazionali ratificano i trattati istitutivi e l’esempio più evidente di organizzazione sovranazionale si riscontra proprio nella Comunità europea.

Storicamente la prima Comunità ad avere carattere sovranazionale è stata la CECA, dotata di poteri e organi propri, i cui Stati aderenti hanno abdicato alla sovranità nazionale nel settore della produzione carbo-siderurgica, conservando inalterate le prerogative proprie in altri settori. Ma è la Comunità europea a rappresentare il modello più evoluto di integrazione economica e politica e, quindi, di ordinamento sovranazionale: gli Stati membri, infatti, hanno attribuito alle istituzioni comunitarie il potere di adottare decisioni che hanno efficacia immediata negli ordinamenti interni, riconoscendo la diretta applicabilità del diritto comunitario e conferendo completa autonomia ad alcuni organi decisionali. Ed ecco che adesso, con la volontà di creare una Difesa comune si realizza in pieno il concetto di “Assemblea dei popoli uniti nella Sovranità”.

L’ambito ancora non delegato − Difesa e sicurezza − diviene necessità dettata dal conflitto russo-ucraino che scardina l’immobilismo decisionale europeo, il superamento dello stallo di azioni non compiute, forse anche per ritardi delle classi politiche. L’idea di una “Patria Europa” viene perseguita sino in fondo, considerando che la stessa, pur rimanendo eminentemente politica, non può però più essere disgiunta dalla realizzazione di una Forza militare unica.

Allo stesso tempo è proprio la componente militare che spinge verso una presa di responsabilità. La parte “tecnico-militare” non è elemento a sé, ma detta prese di responsabilità politiche per scelte operative.

QUESTIONI STRATEGICHE E TECNICO-MILITARI
La tutela e la sicurezza delle aree strategiche è sostanziale per lo sviluppo di interessi economico-politici e culturali di una comunità statuale, e per l’UE si può certamente considerare che tali aree debbano essere ritenute come elementi costitutivi di un’entità, seppur sovranazionale, unitaria per contiguità geografica, comunione di interessi, cultura e necessità di reciproca collaborazione economica.

Per l’Italia, a più riprese, il Ministero della Difesa ha individuato alcune aree di preminente interesse: il Mediterraneo, il Sahel, i Balcani e il Medio Oriente. È evidente che nelle medesime aree confluiscano attenzioni di altri Stati (Francia, Spagna, Grecia, Turchia) ma che per l’Italia siano prioritarie dato il posizionamento geografico. È inoltre plausibile che ciascun membro della UE abbia fatto delle similari considerazioni per zone non lontane ma diverse. Questa condivisa area mediterranea detta azioni di coordinamento e collaborazione ma anche e soprattutto di individuazione delle responsabilità di comando, controllo e coordinamento in caso di attacco ad uno o più Stati Membri.

In tale ottica, sotto il profilo militare e di difesa, risulta che l’automatismo e la velocità della risposta discendano da linee di comando predefinite e che la certezza di chi debba condurre le operazioni in ciascuna area, se minacciata, sia prestabilita lasciando però che la responsabilità strategica sia attestata ad un Ente sovranazionale a livello di Consiglio Europeo. In breve, un tale modello sarebbe perseguibile solo se il comando e controllo tattico sia assegnato ad uno Stato che abbia le capacità e il riconoscimento degli altri, di poter condurre le operazioni, almeno nei primi momenti di conflitto in determinate zone geostrategiche. Demandare ad una sovrastruttura più complessa, che necessita di tempo per le decisioni, va sicuramente a detrimento della rapidità ed efficacia della reazione, nonché della giusta forza di difesa.

Qui si impone una riflessione. In linea di massima la dottrina militare indica che le forze destinate alla difesa debbano almeno essere un terzo delle forze avversarie d’attacco. La formula appena enunciata si enfatizza se oltre al numero si considera il livello professionale e addestrativo delle stesse e quindi ne discende che siano essenziali delle strutture C4 snelle e surrogabili, incardinate su aree ben definite con compiti prioritari di difesa delle stesse, caratterizzate o predisposte con un’elevata mobilità, anche nella terza dimensione, e che possano essere impiegate secondo moduli operativi ben conosciuti da tutte le strutture militari componenti le future Forze Armate UE.

Sempre la dottrina tradizionale, mai smentita, vuole che la difesa sia efficace se in tempo di quiete ci si prepari alle probabili azioni contro l’offesa. Conoscenza dell’ambiente operativo e dei punti deboli e forti nell’azione propria e altrui sono elementi fondanti del successo operativo-militare. Quindi, pur necessitando di un Comando unico a livello strategico con compiti di coordinamento, si ritiene che sia auspicabile articolare le Forze in macro aree continentali europee (Nord, Centro e Sud o in alternativa Europa occidentale, dell’Est Europa, Europa centrale e Area del Mediterraneo) a cui assegnare il comando operativo pieno delle Forze terrestri.

Per le Forze navali ed aeree si riscontra che già esista una considerevole integrazione fra i Paesi UE e pertanto si tratta “solamente” di definire come e chi debba essere messo in assetto di Comando operativo d’area. Le modalità di azione e coordinamento di Forze Armate anzi dette, peraltro, non sono una novità e sono già praticate da tempo, ciò che è cambiato oggi è la “minaccia” o la percezione di essa, nonché la sensazione di appartenenza, di fatto, ad una realtà più ampia rispetto ai confini della propria Nazione. Le nuove generazioni non dubitano di appartenere ad una cultura che si identifica in quella europea, non mettono in dubbio che la propria sicurezza sia un concetto che va oltre il proprio confine statuale e parimenti classificano come minaccia un’azione prodotta ai confini non solo del proprio Stato ma anche di quello di qualsiasi altro Stato membro dell’Europa.

In senso classico la minaccia possibile si esprime inevitabilmente nelle tre dimensioni, terrestre, aerea e marittima ma ad oggi con metodi, mezzi e multidimensionalità che poco hanno a che fare con la storia passata. La capacità di proiezione di potenza e il livello di fuoco, che oggi possono esprimere anche le più piccole unità combattenti (il plotone carri come la coppia di caccia-bombardieri o le unità navali veloci siluranti) non ha nessuna comparazione con le similari di soli 50 anni fa. Pertanto la possibile offesa si può sviluppare in tempi brevissimi con modalità pluriarma e violenza d’impatto mai visti prima. Conseguentemente la risposta all’offesa deve essere rapida coordinata e complessa. Ecco perché la costituzione di una forza armata pluriarma con modalità d’impiego flessibili e armonizzate e che abbia dei tempi di reazione ancor più che rapidi. Solo chi avrà la possibilità immediata di reazione potrà, almeno nel primo momento di confronto, contrastare la minaccia e questo suggerisce quanto detto in precedenza: forze già presenti nell’area dove la minaccia si manifesta, coadiuvate in secondo step dalle restanti.

Altra riflessione è da farsi sulla tipologia di minaccia ormai conosciuta come cyber e/o guerra elettronica, da affrontare anche in tempi di quiete, garantendo un continuo monitoraggio del potenziale obiettivo. Per quanto attiene la categoria terrorismo è ragionevole pensare, ancor di più dopo l’11 settembre, che già le Forze Armate siano parte integrante di uno strumento che comprenda le Forze di polizia, i Servizi di Intelligence e tutta l’area politico diplomatica nella attività di prevenzione con il compito di individuare il livello, nazionale o sovrannazionale, l’ampiezza e la letalità della stessa, quindi, a livello pratico già siamo difronte ad una condivisa rete difensiva, basti pensare all’Agenzia FRONTEX piuttosto che EUROPOL ma che rimangono chiuse alla dimensione di agenzie e non di struttura sovranazionale normativamente prevista e stabile.

Articolato rimane, infatti, il processo di armonizzazione delle varie normative che partano da quelle relative allo stato giuridico del personale militare, passando per i codici penali militari e civili sino a giungere a quelle che disciplinano i casi di autorizzazione agli interventi armati ed all’impiego  di varie tipologie di armi, forse il settore più delicato in quanto le legislazioni nazionali divergono in misura significativa fra loro: si pensi, ad esempio, alla questione nucleare, tema su cui giuristi e costituzionalisti dovranno superare l’articolato nazionale andando verso un sovranazionalismo giuridico (ardua attività). Settore che, invece, si trova ad essere avanzato, a livello di omogeneizzazione e standardizzazione, è il training, quale conseguenza dell’esperienza ultraventennale delle missioni internazionali con l’introduzione del concetto di “interoperabilità”.

In questo settore, è stato determinante il contributo della NATO che definisce l’interoperabilità come la “capacità di operare in sinergia nell’esecuzione dei compiti assegnati”, ossia la capacità delle forze dell’Alleanza e, ove applicabile, delle forze dei Paesi partner, di addestrarsi, esercitarsi ed operare efficacemente assieme nell’esecuzione di missioni. La tipologia di addestramento rappresenta un corollario delle scelte politiche in ordine alle casistiche ipotizzate di interventi armati e della scala dell’uso autorizzato della forza in rapporto agli scenari. Infatti, i programmi addestrativi comuni possono essere definitivamente compiuti solo a seguito dell’individuazione delle diverse forme di minaccia e delle risposte accettabili in ottica militare, probabilmente con la conseguente riscrittura del concetto di uso della forza che sarà elaborato dalla “dottrina militare europea”.

In presenza di un mutamento globale del quadro geo-politico-strategico dovuto alle conflittualità in atto, considerata la necessità di dotare la UE di Forze Armate immediatamente disponibili, con alta capacità e autonomia operativa, grazie anche ad una elevata potenza di fuoco e di proiezione, si può affermare che:

  1. sia non procrastinabile il superamento del previsto disposto articolo 42 del TUE;
  2. la struttura ordinativa e gerarchica delle Forze Armate europee, pur prevedendo un vertice di Comando con funzioni di coordinamento e controllo, debba contemplare Comandi d’Area che rispondano alla necessità della rapidità ed efficacia dell’intervento;
  3. debba individuarsi una Nazione leader in ciascuna delle macroaree di interesse strategico a cui affidare la costituzione di un Comando d’Area, al fine di meglio omogeneizzare le capacità organizzative, direttive e logistiche delle Forze assegnate;
  4. il Comando di vertice debba organizzare la formazione del personale dei Quadri di vertice e intermedi, implementando corsi accademici di base e financo master, per avviare una ampia conoscenza comune del Personale destinato al comando di Unità e favorendo lo scambio di impiego in altre Forze Armate Nazionali, prevedendo al pari del NATO con i “Defence College”, dei centri internazionali di formazione europea;  
  5. sia assolutamente necessario considerare e rispettare le tradizioni e i valori culturali delle formazioni militari componenti, dalle Brigate ai Battaglioni, poiché esse costituiscono il valore cementante delle Unità Combattenti. Quindi non negligenza e appiattimento di tali valori ma semmai esaltazione e considerazione degli stessi, inquadrati in un ambiente diversificato per lingua storia e motivazioni ma dove tutti si riconoscano compagni d’armi.

A ciò si aggiunga, di contro, che già gruppi tattici, uno degli strumenti a disposizione dell’Unione, possono essere schierati per reagire rapidamente a crisi e conflitti. Si tratta di forze militari già disponibili e che possono essere dispiegate rapidamente sul terreno.

Creati nel 2005, i gruppi tattici non sono mai stati impiegati a causa di ostacoli di natura politica, tecnica e finanziaria anche se, per rafforzare le capacità di reazione rapida, il 22 giugno 2017 i leader dell’UE hanno deciso di sostenere lo schieramento di tali entità come costo comune. Il finanziamento dei gruppi tattici, gestito in via permanente a livello dell’UE attraverso il meccanismo Athena, nel 2021 è stato sostituito dallo strumento europeo per la pace. Ciò a dire che anche l’area amministrativa non rimane immune dal processo di unificazione militare, il concetto di procurement militare, ove da sempre i Governi hanno dovuto ascoltare le istanze provenienti dalle industrie nazionali di settore (principalmente preposte alla produzione di armi, sistemi d’arma, equipaggiamenti, apparati, mezzi e materiali manutenuti in strutture nazionali) sta cambiando e se verrà correttamente interpretato verranno riformulati i criteri per la contribuzione finanziaria ai programmi di ammodernamento e di mantenimento in esercizio, forse proprio in proporzione alla quote di partecipazione militare a livello europeo.

È evidente che bisognerà individuare i limiti di ammissibilità di una deroga alle regole generali sui contratti pubblici, che non violino i principi di concorrenza, come sta, tra l’altro, già realizzando l’Organizzazione congiunta per la cooperazione in materia di armamenti (OCCAR), ma qui non è sede di disamine su progetti di economia europea ma bensì sul corollario che già l’Europa è pronta militarmente ad una unione delle Forze. Lo dimostrano le missioni svolte (Forza Europea di Reazione Rapida; Eurofor; Euromarfor; European Air Group; European Air Coordination Cell; Multinational Land Force; S.I.A.F.; Eurocorps; SEEBRIG) e lo sanciscono strutture già consolidate.

Il Consiglio dell’Unione Europea ha istituito già dal gennaio 2001 il Comitato Politico e di Sicurezza (CPS). In base all’approccio adottato a Helsinki, il CPS è il fulcro della PESC e della CESDP. Il CPS svolge un ruolo centrale nel definire e controllare la risposta dell’UE a una crisi. Può riunirsi a livello dei direttori politici ed il alto rappresentante per la PESC, dopo aver consultato la presidenza, può presiedere il CPS, segnatamente in caso di crisi. Di pari importanza, ma sotto un profilo più calato nell’impiego delle Forze lo Stato Maggiore dell’Unione Europea (EUMS), costituito da personale militare distaccato dagli Stati membri fa parte del Segretariato generale del Consiglio. L’EUMS fornisce consulenza e sostegno in campo militare alla CESDP, compresa l’esecuzione delle operazioni di gestione militare delle crisi sotto la guida dell’Unione Europea. Lo Stato maggiore ha così il compito di assicurare il tempestivo allarme, la valutazione della situazione e la pianificazione strategica nell’ambito dei compiti di Petersberg, compresa l’identificazione delle forze europee nazionali e multinazionali e di attuare politiche e decisioni in base alle direttive del Comitato militare dell’Unione Europea (EUMC). È la fonte di consulenza militare dell’Unione che assicura raccomandazioni in merito al concetto di gestione delle crisi ed alla strategia militare generale a prescindere dal fatto che l’Unione Europea ricorra o meno alle risorse ed alle capacità della NATO.

Lo Stato Maggiore contribuisce al processo di elaborazione, valutazione e revisione degli obiettivi di capacità, tenendo conto della necessità per gli Stati membri interessati di garantire la coerenza con il processo di pianificazione della difesa della NATO (DPP) e con il processo di pianificazione e revisione (PARP), del partenariato per la pace (PFP) secondo le procedure convenute. Stabilisce relazioni permanenti con la NATO in conformità degli “accordi permanenti UE/NATO” ed appropriate relazioni con determinati corrispondenti in seno all’ONU ed all’OSCE, fatto salvo l’accordo delle suddette organizzazioni. Sviluppa e tratta prioritariamente le opzioni militari strategiche attraverso: la definizione delle opzioni generali iniziali; il ricorso, laddove appropriato per il sostegno della pianificazione, a fonti esterne che analizzeranno e svilupperanno ulteriormente queste opzioni in modo più dettagliato; la valutazione dei risultati di questo lavoro più dettagliato e la richiesta di qualsiasi ulteriore lavoro che risultasse necessario; inoltre, in coordinamento con gli addetti nazionali alla pianificazione e, laddove appropriato, con la NATO, individua la tipologia delle forze che potrebbero partecipare ad eventuali operazioni sotto la guida dell’Unione Europea assistendo il comandante delle operazioni negli scambi tecnici con paesi terzi che offrono contributi militari ad un’operazione sotto la guida dell’Unione Europea e nei preparativi della conferenza sulla costituzione della forza. L’EUMS può costituire nuclei di azione crisi (CAT), se necessario, esso potrebbe anche ricorrere temporaneamente a personale supplementare esterno, su richiesta dell’EUMC agli Stati membri dell’Unione Europea.

È sotto gli occhi di operatori del settore e non che le Forze Armate degli stati europei, di fatto, hanno già gli strumenti nazionali e sovranazionali per agire congiuntamente, ma essi vanno affinati ed attagliati al nuovo concetto di Difesa Europea a garanzia di una legittima azione militare e di difesa di un’intera area politico-geografica portatrice di valori decisamente democratici.

Come ha sostenuto il Generale Carlo Jean, in una sua monografia, “la geopolitica non è una scienza, è la riflessione che precede l’azione politica” e parallelamente si potrebbe asserire che l’azione militare non è un dogma ma una realtà che consegue ad una presa di responsabilità politico-strategica.

CONCLUSIONI
Delicato e complesso rimane il decidere chi debba prendere la responsabilità anzi detta per l’utilizzo dello strumento armato europeo, ma senza tale passaggio decade il concetto stesso di Difesa e Sicurezza comune.

Si può simbolicamente asserire che come l’Accademia della Crusca riconobbe i dialettismi linguistici così l’Europa deve riconoscere le specificità militari (FA Paesi membri), considerando le stesse come elementi di grande forza, pur mantenendo Essa una superiorità in senso di guida e coordinamento nel riconoscimento di un’unica lingua comune e più alta: la Difesa europea…e come per l’Accademia, che abbisognava di un mecenate, un grande uomo politico per farsi riconoscere come legittima a svolgere il suo ruolo, così l’Europa deve decidere se esso sia la NATO, come è naturale che sia.

La questione, negli anni ‘50 come oggi, è di una semplicità quasi banale, ma dirimente: un esercito europeo è per definizione e obbligo una struttura rigidamente gerarchica che necessita di un forte comando unico e unitario. Il suo dispiegamento, le sue operazioni sul terreno, la sua dottrina, le sue regole di ingaggio, le sue strategie non possono essere decise con votazioni assembleari, né a maggioranza semplice né, men che meno, all’unanimità. Quindi deve vigere una direzione politico-militare unica e riconosciuta da tutte le nazioni partecipanti con meccanismi trasparenti e rapidi ma ancor prima si deve individuare chi svolgerà il compito di guida politico-strategica per garantire quanto appena asserito.

L’Europa ha una grande occasione oggi, un banco di prova a cui non si può sottrarre e a cui si è potuti approdare, al di là della contingenza dei fatti militari in Ucraina, solo grazie alla veicolazione e spinta dell’idea di una Unica Nazione Europa prodotta da personalità di spicco tra cui, senza dubbio, si eleva quella di Alcide De Gasperi, “visionario” capace di superare con lucida lungimiranza politica il momento a cui apparteneva, sostanza propulsiva verso la realizzazione di una Sovranità completa, incastonata nel concetto più ampio di Patria dei popoli, concetto a lui già fortemente chiaro ma che ha necessitato di tempo per essere perseguito in tutta la sua interezza, ossia comprensiva di quella dimensione mancante: l’Esercito europeo, la cui assenza non ha conferito la capacità militare deterrente e necessaria per imporsi a tutti gli effetti come Stato degli Stati a difesa di principi antichi e democratici.

L’ora sembra giunta, il dado è tratto, ma rimane il dubbio sulla volontà reale di cercare le giuste linee gerarchiche di responsabilità politico-strategica a fondamento di un Esercito europeo legittimo ad agire per conto e a difesa dei suoi popoli.

Il Generale di Corpo d’Armata, Antonio Vittiglio, è Direttore Generale per il Personale Militare (PERSOMIL), Ministero della Difesa. Ha ricoperto gli incarichi di Capo di Stato Maggiore e Capo dello European Union Command Element presso il NATO Allied Joint Force Command Naples (JFC-NP), ed è stato Vice Comandante del NATO Rapid Deployable Corps – Turkey (NRDC-T). È memrbo del Comitato Scientifico della Fondazione De Gasperi.

Il Capitano Elena Bigongiari è in servizio presso la Direzione Generale per il Personale Militare (PERSOMIL), Ministero della Difesa. Cultrice di Strategia Militare e laureata in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, ha conseguito un Diploma di giornalismo internazionale presso l’Institute for Global Studies.

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