Intervento ai “Security and Defence Days” organizzati dalla Fondazione De Gasperi.
Oggi, in uno scenario sempre più competitivo e sempre più complesso, investire in tecnologie per la sicurezza e la difesa è una priorità: siamo nell’era delle Tecnologie Emergenti e Dirompenti – le “Emerging Disruptive Technologies” – che rappresentano un cambio di paradigma vero in campo geostrategico, perché hanno avviato una trasformazione multidisciplinare e multidimensionale. È quella che sul piano atlantico viene indicata come “Era della trasformazione”.
Era e trasformazione non sono un ossimoro ma sono due termini che si cercano.
È una trasformazione tecnologica con un impatto globale, giuridico, industriale, sociale, etico, ambientale, energetico, civile, militare, virtuale, operativo – vedete la complessità del sistema. È una trasformazione inevitabile rispetto alle altre trasformazioni che avevano accompagnato processi epocali. È una trasformazione molto rapida perché rispetto ai tempi a cui ci ha abituato la storia, il passaggio da una trasformazione industriale all’altra si è accorciato di almeno 75 anni. Se poi pensiamo alle grandi rivoluzione militari, quelle si sono avute a distanza di centinaia di anni l’una dall’altra. E adesso siamo nel vivo di un’ulteriore rivoluzione di una portata e magnitudo non completamente controllabili.
Possiamo e dobbiamo dialogare con questa nuova era e coglierne le opportunità con una mentalità proattiva, con iniziative concrete da parte dell’industria, dell’accademia e della ricerca, comprendendone rischi e finanche minacce, con un approccio trasversale.
Nella Difesa, ad esempio, le capacità del campo di battaglia sono sempre più congiunte e interconnesse. Coinvolgono gli armamenti, le infrastrutture critiche, la sicurezza delle catene di approvvigionamento, delle reti tecnologiche e di capitale umano, arrivando a toccare l’istruzione, le abilità professionali e i comportamenti cognitivi.
Cogliere le opportunità tecnologiche, che diventano anche opportunità d’investimento e di collegamento politico in progetti di collaborazione transnazionale, vuol dire prima di tutto intercettare – sin dalle loro fasi iniziali – l’emergere di nuove tecnologie, in particolare di quelle “duali” che sempre più spesso dal campo della Difesa trovano largo impiego nel settore privato e in quello civile.
Rispetto a questo fine, dobbiamo e possiamo colmare il divario tra industria civile e militare, sviluppando incubatori di tecnologie, investendo nel pubblico (come le università) e nel privato (le start-up e le PMI). A tal fine, la Difesa dovrà supportare da una parte la protezione dei diritti di proprietà intellettuale degli inventori, i loro brevetti, dall’altra integrare le loro competenze ed eventuali esigenze di formazione.
La tecnologia per la sicurezza e la difesa è un’opportunità concreta per ottenere i fondi europei: ormai decine di programmi UE sono accessibili, in tutto o in parte, alle aziende e alla ricerca per la difesa o a quella duale. La NATO arriva con il suo Fondo per l’Innovazione e gli investitori dei fondi comuni e di “private equity” sono pronti ad affiancarsi. A tal proposito ritengo doveroso, ed è motivo di orgoglio, citare il progetto DIANA (Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic) grazie al quale Torino – con grande lavoro di squadra partito dalla Presidenza del Consiglio che ha abbracciato il Ministero della Difesa e la nostra rappresentanza permanente a Bruxelles – è stata scelta come sede di uno dei nove acceleratori di startup nel campo della sicurezza, insieme ai “test center” di La Spezia e Capua.
Infine c’è anche la Banca Europea degli Investimenti che ha ormai trovato il suo percorso, pur nel rispetto dei suoi limiti statutari, per sostenere gli investimenti per la sicurezza e la difesa.
È stato toccato anche il tema della Cyber. Bisogna dire parole chiare. In questo campo siamo terribilmente in ritardo. Terribile perché sono terribili le conseguenze ne derivano.
Abbiamo un gap da colmare tra i sistemi OT Operational Technology (energia, condizionamento, trasporto, logistica, sistemi elettronici, radar ecc) e le reti IT Information Technology (PC, Server, Router, ecc e loro reti) su cui intervenire ora e adesso. L’OT incontrerà sempre di più l’IT. La minaccia di attacchi hacker, sino a poco tempo fa circoscritta al mondo IT, si è propagata al mondo OT sfruttando proprio il punto di debolezza del sistema rappresentato dal cosiddetto “red dot” ovvero dal punto di interconnessione dei due mondi. Facciamo un esempio: pensate al condizionatore di casa vostra azionato da remoto attraverso un’applicazione sul vostro telefonino. Il condizionatore è l’elemento OT, il comando che passa dal telefonino attraverso una rete wifi è l’elemento IT. Nell’incontro tra il comando del cellulare e il ricevimento del condizionatore risiede la criticità che abbiamo definito red dot. Per traslazione vale lo stesso principio tra la torre di controllo di un aeroporto e un radar in pista.
Su questo ci giochiamo la sicurezza del Paese. Non abbiamo idea della vulnerabilità dei sistemi. Dai treni agli aerei.
Prima di concludere vorrei evidenziare quanto la guerra in Ucraina sta imprimendo una nuova e più forte accelerazione al processo di integrazione della difesa europea che rischia di danneggiare gli Stati membri meno pronti ad adeguarsi al cambiamento. Su questo terreno, purtroppo, l’Italia rischia di essere penalizzata a causa di un sistema decisionale lento, farraginoso e una normativa non a passo con i tempi in moltissimi campi, tra cui quello della difesa.
C’è però una novità che potrebbe rivelarsi utile per uscire dal pantano burocratico. Recentemente l’Italia si è espressa sul Defence Investment Gap Analysis, una dichiarazione congiunta della Commissione e dell’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per sostenere la necessità di rendere efficiente la spesa e ottimizzare le procedure relative al procurement. Il documento parte dalla constatazione delle carenze europee in ogni dominio capacitivo e prevede tre obiettivi per gli investimenti europei della difesa: Together (quindi programmi di cooperazione nella ricerca e sviluppo tecnologico e nell’acquisizione, anche per contenere i costi); Better (focalizzandosi cioè sulle priorità identificate come europee nelle capacità da soddisfare); European (un’industria europea più competitiva poiché il rafforzamento della base tecnologica e industriale europea è diventato strategico in un quadro geostrategico deteriorato).
La dichiarazione avanza proposte concrete:
- Costituire una Defence Joint Procurement Task force per coordinare gli acquisti degli Stati membri nel breve termine;
- Stabilire un nuovo strumento finanziario con una dotazione di 500 milioni per il periodo 2022-24 per incentivare gli acquisti congiunti da parte degli Stati membri e in questo modo rafforzare le capacità industriali militari europee;
- Predisporre un EU framework for Defence Joint Procurement attraverso gli attuali strumenti in ambito EDF e EDA e uno nuovo, un regolamento che istituisca un European Defence Investment Programme (EDIP).
- Puntare ad un maggiore sostegno dell’industria della difesa e degli acquisti comuni da parte dell’European Investment Bank.
Allo steso tempo si dovrebbe metter mano alla normativa europea del procurement e fissare nuove regole per l’industria della Difesa.
Dunque, alla domanda: “È tempo d’investire?”, la risposta non può che essere “Sì”.
E con la capacità di comprendere questo “tempo”, la sua tecnologia e le sue opportunità, il Paese mantiene e rafforza il suo ruolo sul tavolo delle relazioni internazionali, europee ed atlantiche, mostrandosi partner affidabile, abile ed arruolabile come sempre nel suo contributo alla protezione dei valori democratici, grazie all’essere parte dell’avanguardia occidentale negli investimenti, nella ricerca tecnologica e nella formazione delle competenze per la sicurezza e la difesa.