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De Gasperi a Fanfani, lettera manoscritta (14 agosto 1954).
Versione dattiloscritta della lettera di De Gasperi a Fanfani.
Fuori dal governo, De Gasperi continuò a seguire la questione della ratifica del Trattato istitutivo della CED con una sollecitudine maggiore di quella che aveva dimostrato quando essa dipendeva dalla decisione del ministero da lui presieduto, sia perché desiderava vedere compiuta l’opera, sia perché doveva nutrire qualche dubbio sull’intensità delle convinzioni europeistiche del gruppo dirigente che prese il suo posto. Spronò così alla ratifica i membri del suo partito. All’inizio di agosto De Gasperi partì per la montagna. «La mia spina è la CED», scrisse al segretario del partito Amintore Fanfani, dalla sua casa in Valsugana. De Gasperi temeva la posizione francese, ma anche quella italiana e il rischio di naufragio del progetto della CED. Al riguardo scriveva di nuovo a Fanfani: «Tu puoi immaginare la mia pena, aggravata dal fatto che non ho la forza né la possibilità di levare la voce, almeno per allontanare dal nostro paese la corresponsabilità di una simile iattura».
Ricorda la figlia, Maria Romana, che il padre avrebbe voluto andare alla Conferenza di Bruxelles sulla CED, invece doveva seguire i lavori attraverso la stampa, la radio; fu un grande sacrificio e cercò disperatamente di farsi sentire anche da lontano. Incaricò le figlie di telefonare e scrivere ovunque per cercare i suoi collaboratori e amici. «Vidi le lacrime che scendevano senza vergogna sul volto ormai vecchio di mio padre, mentre gridava al telefono al presidente del Consiglio: “Meglio morire che non fare la CED”». Si sfogava con le figlie dicendo «Se l’Unione Europea non la si fa oggi, la si dovrà fare inevitabilmente fra qualche lustro; ma cosa passerà tra oggi e quel giorno Dio solo lo sa».
De Gasperi morì poco dopo, il 19 agosto. Il 30 agosto, l’Assemblea Nazionale francese respinse l’approvazione del Trattato istitutivo della CED.
Testimonianza di amicizia di Adenauer:
«Alla vigilia della Conferenza di Bruxelles Alcide De Gasperi ci ha lasciato. […] Per me questa perdita ha causato un vuoto particolare perché solo a pochi altri mi sentivo legato da così stretti vincoli nati dall’azione e dalle mète comuni. […] Abbiamo affrontato i nostri problemi partendo dalla stessa base spirituale. Abbiamo entrambi iniziato la nostra carriera politica in un partito al contempo democratico e cristiano ed abbiamo operato in modo che ciò fosse chiaro nella nostra azione. Ci legava l’avversione comune verso i nazionalismi esagerati. Consideravamo mèta della nostra politica estera l’unificazione dell’Europa, perché unica possibilità di affermare e salvaguardare la nostra civiltà occidentale e cristiana contro le forze totalitarie. Sulla base di questa comunanza anche la nostra politica estera doveva necessariamente concordare in tutte le questioni fondamentali […]. Ho avuto la fortuna di incontrare spesso Alcide De Gasperi nel corso degli ultimi anni a Roma e a Bonn e nelle numerose conferenze internazionali a Parigi, Roma, Strasburgo, Lussemburgo. Durante questi anni divenimmo veri amici. Ho conosciuto pochi uomini che riunissero tanto sapere, capacità e volontà con tanto tatto e tanta bontà di cuore. Tutti coloro che hanno avuto l’occasione di conoscere De Gasperi nella sua opera hanno ammirato in lui questa combinazione di alte qualità. Così egli ha reso un inestimabile servizio al suo Paese già con la semplice influenza della sua personalità. L’Europa e l’Italia perdono il lui un grande statista; la Germania, ed io personalmente, un buon amico».
Testimonianza di amicizia di Schuman.
«Il nostro grande amico scomparso non si contentava peraltro di realizzazioni pratiche frammentarie. Voleva una struttura d’assieme, un’Europa politicamente unita, dotata di una organizzazione federale o confederale, supporto di una cooperazione durevole e pacifica. […] Le sue iniziative erano collegate ad idee che si ponevano al di sopra delle contingenze del momento: tutta la sua azione discendeva dai principi che egli aveva accettato una volta per tutte. La vita religiosa, la democrazia, l’Italia e l’Europa erano per lui dei postulati di una fede profonda e indefettibile. Egli aveva l’anima di un Apostolo ma non di un settario. La sua amicizia e la sua collaborazione erano alla portata di tutti coloro che erano degni della sua fiducia. […] Il presidente scomparso è stato, durante tutta la vita, un esempio della fedeltà che sopravvive alle prove più dure. Restiamo fedeli alla sua memoria e al suo grande esempio!».