La nostra Patria Europa

DOCUMENTAZIONE

«L’occasione che passa»

Discorso di De Gasperi all’Assemblea del Consiglio d’Europa,
Strasburgo, 10 dicembre 1951

Desidero anzitutto ringraziare, voi, Signor Presidente, e con voi l’Assemblea, dell’invito che avete voluto rivolgermi e che mi permette oggi di esporre brevemente le mie idee e le mie preoccupazioni a proposito dei gravi problemi che ci troviamo dinanzi. È con grande soddisfazione che ho visto le idee che noi qui difendiamo percorrere molto cammino sulla via delle realizzazioni concrete. Malgrado le innumerevoli difficoltà che si sono presentate, il Piano Schuman è sul punto di diventare un fatto compiuto. Io credo che tutti i Paesi qui rappresentati sono ormai d’accordo sul principio che bisogna arrivare ad una forma di integrazione europea. I pareri differiscono soltanto sul modo di giungervi. Se interpreto esattamente il vostro desiderio, non si tratta per me di esporre sulle linee generali il mio pensiero – del resto abbastanza noto – ma di precisarlo riguardo al problema concreto che è nato dall’urgenza di una difesa comune.

Il bisogno di sicurezza ha creato il Patto atlantico, cioè un’organizzazione che tende a ristabilire l’equilibrio delle forze. È quella la prima linea di difesa contro il pericolo esterno: essa è basata sull’integrazione dello sforzo nazionale con lo sforzo collettivo. La Comunità atlantica, pur avendo come scopo fondamentale la difesa sul piano militare, mira anche a rafforzare questa solidarietà sopra un piano umano, dove tutti i nostri valori spirituali formano un patrimonio comune e permettono lo sviluppo di una fraternità operante. Ma la condizione essenziale per una resistenza esterna efficace è in Europa la difesa interna contro una funesta eredità di guerre civili – tali bisogna considerare le guerre europee dal punto di vista della storia universale – quest’alternanza, cioè, d’aggressioni e di rivincite, di spirito egemonico, di avidità di ricchezza e di spazio, di anarchia e di tirannia, che ci ha lasciato la nostra storia, per il resto così gloriosa: è dunque contro questi germi di disgregazione e di declino, di reciproca diffidenza e di decomposizione morale che noi dobbiamo lottare con tutte le nostre forze.

Noi abbiamo la consapevolezza che dobbiamo salvare noi stessi, che dobbiamo salvare il nostro patrimonio di civiltà comune e di esperienze secolari. Perché se è vero che il Patto atlantico abbraccia il mondo, non è meno vero che in questo mondo l’Europa custodisce in se stessa le fonti più antiche e le tradizioni più alte della civiltà. Le somiglianze e le convergenze storiche, anche i legami spezzati e subito riannodati, ci indicano che la messa in comune delle nostre forze spegne i nostri rancori e può darci in Europa la pace interna, anche prima che un patto di difesa venga a garantirla. L’associazione delle nostre esperienze sociali, culturali, amministrative, raddoppia le nostre possibilità nazionali e le preserva da ogni decadenza dando loro uno slancio nuovo verso la creazione di una civiltà ancor più elevata. Qual è l’alternativa che si pone per noi ora, in questo dopoguerra?

Noi siamo tutti d’accordo che dobbiamo difendere i nostri focolari, le nostre istituzioni, la nostra civiltà nel momento del pericolo. Ma le nuove generazioni che tendono ad una concezione integrale e dinamica di vita esitano di fronte ad una scelta che può decidere del loro destino: riprendere la strada interrotta della guerra, strada seminata di rivendicazioni e di conflitti che si ispirano ad una concezione etica assoluta della nazione; oppure andare verso il coordinamento di queste forze, talora ideali e razionali, talora ancora istintive e irrazionali, in vista di una espansione superiore e di una più larga e fraterna solidarietà. Quale strada bisogna scegliere per mantenere quello che c’è di umano e di nobile in quelle forze nazionali, pur coordinandole verso uno scopo di civiltà sopranazionale che possa equilibrarle, riassumerle e comporle in una corrente irresistibile di progresso?

Questo non si può fare altro che vivificando le forze nazionali con gli ideali comuni della nostra storia e dando loro come campo d’azione le distinte e grandiose esperienze della comune civiltà europea. Non si può fare altrimenti che realizzando un punto d’incontro dove queste esperienze si confrontano, si selezionano e così generano forme nuove di vita comune, ispirate a una più grande libertà e ad una più giusta vita sociale. È sopra un’associazione di sovranità nazionali basata su istituti costituzionali democratici, che queste forme nuove possono spandersi. Fin da ora questo scopo deve essere chiaro, determinato e garantito, anche se un balzo solo non sarà sufficiente per raggiungerlo, e se non sarà possibile raggiungerlo in tutti i settori che esso comporta. Solamente se possiamo dare fin d’ora questa visione costruttiva e luminosa potremo attirare le masse, ispirare ad esse il necessario slancio ideale e soprattutto guadagnare gli spiriti delle nuove generazioni europee.

La costruzione degli strumenti e dei mezzi tecnici, le soluzioni amministrative sono senza dubbio necessarie; e noi dobbiamo esserne grati a coloro che ne assumono il compito. Queste costruzioni formano l’armatura: rappresentano ciò che lo scheletro rappresenta per il corpo umano. Ma non corriamo il rischio che si decompongano se un soffio vitale non vi penetra per vivificarle oggi stesso? Se noi non costruiremo altro che delle amministrazioni comuni senza che vi sia stata una volontà politica superiore, vivificata da un organismo centrale, nel quale le volontà nazionali s’incontrano, si precisano e si animano in una sintesi superiore, noi rischiamo che questa attività europea, compaia al confronto delle vitalità nazionali particolari, senza colore, senza vita ideale; potrebbe anche apparire ad un certo momento una sovrastruttura superflua e fors’anche oppressiva, quale apparve, in certi periodi del suo declino, il Sacro Romano Impero. In questo caso le nuove generazioni, prese dalla spinta più ardente del loro sangue e della loro terra, guarderebbero alla costruzione europea come ad uno strumento d’imbarazzo e d’oppressione.

In questo caso, il pericolo di involuzione è evidente. Ecco perché, pur avendo una coscienza chiara della necessità di guardare la costruzione, noi giudichiamo che in nessun momento bisognerà agire e costruire in maniera che il fine da raggiungere non risulti chiaro, determinato e garantito. Questo è tanto più necessario quando si viene a mettere in comune quello strumento così essenziale così tradizionale che è l’esercito. Le forze armate sono anche un corpo morale fra i più elevati della nazione, la scuola delle più alte virtù militari e civili. Le loro bandiere rammentano le glorie del passato e sono impegno dei sacrifici dell’avvenire. Se noi chiamiamo le forze armate dei diversi Paesi a fondersi insieme in un organismo permanente e costituzionale e, se occorre, a difendere una patria più vasta, bisogna che questa patria sia visibile, solida e viva; anche se non tutta la costruzione è perfetta, occorre che fin d’ora se ne vedano le mura maestre e che una volontà politica comune sia sempre vigilante, perché riassuma gli ideali più puri delle nazioni associate e li faccia brillare alla luce di un focolare comune.

So bene che questo ideale europeo non è ancora abbastanza radicato nelle folle: non c’è che una parte di uomini politici, di pensatori e di idealisti che riesca a sottrarsi alla cura quotidiana dei problemi della ricostruzione di un avvenire comune. Voi, signori Rappresentanti, siete di questo numero, in virtù del mandato che avete ricevuto dai vostri colleghi, eletti, come voi, dal popolo. Ora, benché in Italia questa idea debba fare ancora strada e debba essere oggetto di approfonditi dibattiti in Parlamento, oso sperare innanzi a voi, che conformemente allo spirito della Costituzione, la nazione italiana che pur è uscita spoglia dalla guerra sarà disposta ad accettare dei limiti ragionevoli alla sua sovranità nazionale in unione con le altre Nazioni europee, se ciò può servire ad allargare il campo del suo slancio vitale. Certo l’avviamento più logico, più pratico, più conforme ai precedenti storici sarebbe l’unione doganale, e, per ciò che ci riguarda, noi abbiamo risolto tecnicamente questo problema con la Francia, e ne auspichiamo una soluzione politica positiva.

Tuttavia molte strade conducono a Roma. Si presenta ora il problema dell’esercito europeo, problema, come ho detto, delicato, che tocca le stesse fibre più intime dell’organismo nazionale; io non posso esprimere qui, in questo momento, che il mio personale avviso; ma credo che il Parlamento italiano non rifiuterà il suo assenso al meritorio sforzo di uomini generosi e antiveggenti, per creare uno stabile ponte fra nazioni, separate spesso, nel passato, da un abisso, nel quale precipitò tutta l’Europa. L’approvazione non mancherà se questo ponte sarà solidamente gettato e appoggiato sui pilastri del consenso popolare e costituirà veramente il vincolo fra Nazioni libere ed eguali. Per creare questo ponte è dunque evidente che il primo e il principale pilastro deve essere un corpo eletto comune e deliberante, anche con attribuzioni di decisione e di controllo limitate a ciò che è amministrato in comune, e dal quale dipenda un organismo esecutivo collegiale.

Il secondo pilastro sarebbe formato da un bilancio comune, che tragga in parte considerevole le sue entrate da contributi individuali, cioè dal sistema di tassazione. La storia ci insegna che la forma di contribuzione degli Stati, come sistema esclusivo per sopportare spese comuni, può provocare pericolose divergenze e contenere germi di dissoluzione. Non è poi così difficile per ciascuno Stato devolvere il prodotto di un monopolio o di un’imposta d’altra natura a profitto del bilancio comune.

Questo sistema mi sembra costituire un minimo necessario perché questo progetto ottenga l’approvazione dei Parlamenti ed il consenso delle popolazioni. Quando questo esercito, così organizzato e amministrato, sarà inserito nella Nato, secondo il voto della Conferenza di Roma, noi avremo raggiunto l’unione di tutte le forze difensive e nel medesimo tempo avremo creato, all’interno, un nucleo federale che sarà la garanzia più sicura della nostra solidarietà democratica. È vero che ognuno di noi ha nel suo paese problemi che lo incalzano da tutti i lati, è vero anche che alcuni potrebbero desiderare di proseguire quest’opera in altri settori più facili, ma ciascuno di noi sente che questa è l’occasione che passa e che non tornerà più. Bisogna afferrarla ed inserirla nella logica della storia.

Dopo aver dunque reso omaggio agli uomini coraggiosi che hanno iniziato quest’opera e l’hanno fatta progredire, io penso che sia ora di esortarci tutti a compierla. È assolutamente necessario che il nostro compito non fallisca e che trovi nei nostri Paesi la collaborazione di tutte le forze democratiche e di rinnovamento sociale, e ridesti nello stesso tempo in tutti i nostri amici, particolarmente in America, la fede nei destini dell’Europa.

(AADG, Affari Esteri, X, b, 2)