La nostra Patria Europa

DOCUMENTI − DE GASPERI E LA CED

De Gasperi sui risultati della Conferenza di Parigi

Dichiarazioni alla stampa,
Roma, 26 luglio 1952

Si supponeva – si aveva diritto di supporre – che questa sarebbe stata l’ultima riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri prima della costituzione del Piano Schuman e perciò l’ordine del giorno che era stato previamente preparato dalla cosiddetta Commissione interinale, prevedeva le decisioni riguardanti la sede, le nomine, le date dell’entrata in vigore, dell’entrata in funzione, e a quest’ordine del giorno noi avevamo aggiunta la nostra preoccupazione per l’acceleramento della preparazione del progetto federale cioè avevamo elaborato una proposta per invitare l’Assemblea dell’Acciaio e del Carbone ad assumere la responsabilità di preparare un progetto federale, responsabilità che in base all’art. 38 dello statuto della CED, cioè della Comunità di Difesa, era riservato alla stessa Comunità di Difesa. Ma poiché la Comunità di Difesa è in arretrato e ancora non si hanno le ratifiche, e si doveva e si poteva temere che le ratifiche andassero al di là del novembre o dicembre, si diceva è opportuno accelerare questo lavoro incaricando dei lavori preliminari e preparatori l’Assemblea del Piano Schuman che è la prima che arriva ad entrare in funzione; di qui le nostre trattative sul governo francese per una risoluzione comune. La risoluzione infatti alla vigilia, l’ultima vigilia, è diventata comune nel senso che due risoluzioni preparate, l’una da noi, l’altra dai francesi, è stata, attraverso modificazioni reciproche e promesse reciproche, unita in una sola.

Questo testo della risoluzione non è stato pubblicato, perché la discussione di questo progetto, di questa risoluzione, non è avvenuta, è avvenuta la presentazione, e adesso dirò quando, all’ultimo momento è avvenuta la presentazione, ma la discussione si è dovuta rinviare alla prossima seduta; si sarebbe dovuta rinviare in ogni caso alla prossima seduta per una obiezione del rappresentante del governo olandese, che cioè il nuovo governo non era ancora costituito, e lui non si sentiva di assumere la responsabilità per discussioni di carattere, direi, non ordinario, non inerente direttamente ai compiti dell’Assemblea del Piano Schuman. Ve ne do però notizia per comprendere quale è il nostro programma, quale è la nostra direttiva, direttiva comune nostra e francese, che ha trovato però l’assenso subito, per quanto la discussione non sia stata conclusiva, della Germania e del Belgio, così che potremmo dire che in realtà è supposto che venga accettata alla prima occasione che la discussione verrà affrontata e per dirvi anche per preparare il terreno a questa proposta, alla discussione di questa proposta, e per dare soddisfazione ai nostri federalisti, i quali avevano presentato, a me e ad altri ministri, una richiesta di acceleramento, chiamiamolo così, e speravano che anche nonostante i calori durante l’agosto, l’acceleramento avvenisse attraverso l’Assemblea. In realtà avendo noi differito questa discussione di un mese, mese e mezzo, probabilmente al 10-15 settembre come vedete dalle date, non abbiamo perso tempo, perché credo che difficilmente, fra acque di Vichy e acque di altre fonti, durante l’agosto difficilmente si arriva ad approfondire un simile problema. Ve ne do però notizia, del contenuto, perché vi può servire di orientamento dinanzi a diverse questioni.

Leggo quindi il testo, che poi vi sarà eventualmente trasmesso, che l’ufficio stampa potrà poi trasmettere a quei giornali che vorranno occuparsene più direttamente: La conferenza dei Ministri degli Affari Esteri rappresentante i sei Paesi che partecipano alla Comunità del carbone e dell’acciaio, riunita a Parigi il 23 luglio 1952, ha preso le seguenti decisioni: 1)L’obiettivo finale e costante dei predetti Governi è stato e rimane quello di riuscire a costituire una Comunità politica europea che sia la più larga possibile. 2)A richiesta del Governo italiano è stato inserito nel Trattato che istituisce una Comunità europea di Difesa e che è stato firmato il 27 maggio 1952, un articolo 38 che ha per oggetto di affidare all’Assemblea della detta comunità lo studio di una struttura federale o confederale ulteriore, fondata sul principio della separazione dei poteri e comportante, in particolare, un sistema rappresentativo bicamerale. Questo è il contenuto dell’articolo 38 che viene qui riassunto. 3)Nella risoluzione n. 14 adottata dall’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa nel corso della sua seduta del 30 maggio 1952, detta Assemblea ha domandato che i Governi degli Stati che partecipano alla Comunità europea di Difesa scelgano la procedura più rapida che consiste nel dare a una Assemblea il mandato di elaborare lo Statuto di una comunità politica di carattere sopranazionale che rimarrebbe aperta a tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa ed offrirebbe delle possibilità di associazione a quegli Stati che non vi avessero aderito. Qui c’è il riferimento alla decisione del Consiglio d’Europa, decisione che è stata presa sotto l’influsso specialmente, per venire incontro a un memorandum inglese, cioè di rendere possibile l’accessione a questa forma di unificazione europea anche a stati che non siano completamente nello stesso rapporto di unità ossia per esempio oltre i sei stati che fondono assieme l’esercito e che si chiamano gli stati della difesa comune, che potrebbe creare un rapporto che non si sa ancora quale sia di preciso ma un rapporto particolare bilaterale con l’Inghilterra la quale ha assunto dei rapporti di garanzia con la decisione della CED, decisione comune di difesa o con altri stati comunque. […]

Ispirandosi alle considerazioni di cui ai punti 2 e 3 e desiderosi di sollecitare lo studio del progetto prospettato, assicurando a tale studio il massimo di autorità, i Governi che partecipano alla comunità carbone-acciaio, sono d’accordo su quanto segue: 1)l’Assemblea della predetta Comunità è incaricata, in conformità dei principi dell’art. 38 del trattato CED le cui disposizioni restano invariate – e nell’attesa dell’entrata in vigore dell’Assemblea CED – di studiare e di elaborare un progetto di trattato istituente una Comunità politica europea. A tal fine i membri dell’Assemblea, raggruppati per delegazioni nazionali, coopteranno, fra i delegati dell’Assemblea consultiva che non sono membri dell’assemblea carbone-acciaio, tanti membri supplementari quanti ne occorreranno per raggiungere il numero previsto per la rappresentanza di ciascun paese nell’Assemblea CED. Voi sapete che l’Assemblea della Comunità di Difesa è l’Assemblea del Piano Schuman più un certo numero, 3 precisamente per i grandi stati, più 9 rappresentanti ulteriori di questi grandi stati, dei 3 grandi stati. Per questo, per ristabilire una certa proporzione nel numero poiché qui si tratta non di questioni del carbone e dell’acciaio, cioè di questioni economiche, o amministrative, ma si tratta soprattutto anche di questioni che riguardano la popolazione, il numero della popolazione. Ora affidare, era il compito, lo studio, le elaborazioni di questo progetto a una Assemblea, la quale fosse Assemblea della Comunità del carbone, completata da questa elezione suppletiva. Voi mi direte: perché si fa tanta fatica o tanta precisione nell’affidare a un’assemblea o l’altra, in fin dei conti perché non nominiamo una commissione qualsiasi di professori o di non professori che preparino i progetti? Si tratta di progetti di architettura? No, non si tratta di progetti di architettura.

Evidentemente bisogna avere anche una base rappresentativa, poiché non possiamo da oggi a domani fare le elezioni e chiamare una Costituente europea coi dati rappresentanti secondo il numero della popolazione. Invece diciamo, abbiamo un’assemblea, la quale è stata fondata, costituita, tanto l’una e che l’altra, tanto quella del Piano Schuman che quella della Difesa comune, sopra una certa chiave di ripartizioni di rappresentanza, perché la grossa fatica è stata questa, di dire quanti voti avrà la Germania, quanti voti avrà l’Italia, quanti ne avrà la Francia e quanti ne avrà l’Olanda e poiché, soprattutto con riguardo ai problemi economici, il numero non si può fondare soltanto sopra il criterio algebrico, si è arrivati ad una certa chiave. Ora che cosa vuol dire? Che se un’Assemblea studia, e studiare non vuol dire che studi semplicemente, ma vuol dire che determini, designi, indichi una soluzione; evidentemente se la indica secondo una certa ripartizione rappresentativa riconosciuta, questa sua conclusione ha un’importanza notevole, per quanto poi i Parlamenti sono sempre liberi di approvare o non approvare, ma ha un’importanza notevole. Se invece, il progetto viene fuori da una rappresentanza qualsiasi, di uomini illustri, ma che non hanno una rappresentatività riconosciuta, è un progetto che ha valore di per sé, che potrà essere accettato, ma non è un’indicazione. Ecco perché noi, specialmente noi italiani, ci siamo aggrappati a questo articolo 38. Non è perché noi non vogliamo che si possa estendere anche a tutte le discussioni, estendere a tutti gli studi di preparazione più largamente possibile, è perché vogliamo che coloro, che gli stati, i quali saranno chiamati a formare questa unità europea e che hanno la responsabilità ad esempio dell’amministrazione comune e dell’esercito comune, eccetera, siano quelli che determinano anche questa autorità politica, sia pure con accessioni da parte di coloro, come ad esempio l’Inghilterra, che desiderino collaborare, pure senza assumere la responsabilità.

Qui bisogna stare attenti che ci sono due zone di responsabilità. Quella degli stati che di pieno diritto, di piena responsabilità appartengono all’amministrazione o del carbone e dell’acciaio o all’amministrazione dell’esercito comune e quindi evidentemente hanno tutto un interesse di creare un’autorità politica secondo un dato tipo e secondo un dato criterio, e quegli altri stati che in una certa maniera cercano adesso di associarsi, si parla di associazione nel comunicato, nel memorandum inglese, senza dire determinatamente come, ma di creare un ponte verso, insomma, queste istituzioni nuove, i quali aderiranno in base a delle convenzioni bilaterali creando un certo rapporto. Qui si trattava anche in base al memorandum inglese e al desiderio del resto espresso dalle riunioni di Strasburgo, di creare un ponte anche con l’attività dell’assemblea di Strasburgo e allora nella risoluzione è detto …similmente tutto questo lavoro viene fatto d’accordo, di conserva, con gli organi permanenti del Consiglio d’Europa. Ed ecco che voi sapete che esiste una commissione particolare nominata recentemente nel Consiglio d’Europa, nel Consiglio d’Europa per lo studio di questo, che c’è, che quest’altra commissione ha creato 4 esperti, di cui uno è il professor Ago per elaborare un progetto e quindi le cose camminano parallelamente.

Ma vorrei che fosse chiaro; la nostra azione di iniziativa che abbiamo preso come italiani, perché noi desideriamo vivissimamente, siamo forse quelli i quali più chiaramente, più manifestamente desiderano lo sviluppo ulteriore dell’autorità politica in senso federale, però vogliamo che sia associata, che sia legata, che sia vincolata, che sia fondata sopra una base concreta, non sopra un progetto che nasca comunque, come sono nati tanti altri progetti, e che poi venga lanciato, direi, nel nulla delle discussioni e non ci sia un rapporto di responsabilità. Ossia in poche parole, noi crediamo che il nucleo fondamentale di questa autorità deve essere l’interesse comune e là nella Commissione, nella Comunità di difesa dove abbiamo un bilancio comune che riguarda tutte le spese militari, voi capite che quota notevole di spese in genere, che riguarda tutta l’amministrazione, riguarda soprattutto la disponibilità delle forze militari che vuol dire, al di là di quello che vuol dire, che è l’interesse finanziario, si tratta dell’interesse del sangue, l’interesse della popolazione.

Allora bisogna bene che questa autorità politica che deve disporre sia fondata sopra questa solidarietà, e corresponsabilità, e ci possono essere altri che sono alleati, che sono in relazione di grande amicizia, eccetera, ma che dispongono di non essere evidentemente i rappresentanti più diretti. Ecco la nostra linea di condotta. Credo di essermi spiegato abbastanza, del resto non è necessario che voi vi tormentiate su questo problema, perché lo ho toccato solo per dirvi che questo problema è stato posto all’ordine del giorno, poiché ho letto questa stessa risoluzione spiegandola, eccetera, nella seduta e nonostante l’obiezione che si è fatta da parte del rappresentante dell’Olanda, non si è fatta la discussione, ma si sono prese delle notizie, delle dichiarazioni; ma le dichiarazioni per la maggior parte erano favorevoli cosicché noi possiamo, avendola messa all’ordine del giorno della prossima seduta, possiamo essere certi anche sopra al risultato finale. Messo da parte questo, vi dirò come la situazione è stata dominata da un’altra proposta. La mattina del giorno in cui ci siamo radunati, senza che nessuno prima fosse informato, e probabilmente anche per una di quelle, chiamiamole illuminazioni politiche che avvengono nei momenti di ansia o quando scatta la necessità di una decisione, il Consiglio dei Ministri francesi ha deciso di presentare una proposta, che è stata presentata dal ministro Schuman improvvisamente, all’imprevisto.

Nessuno di noi, e molto meno il cancelliere germanico, aveva notizia della proposta. La proposta era parsa dal principio una proposta tattica. Si è visto poi che la proposta era sostanziale. Vi ricordate il testo della proposta: la sede della Comunità europea del carbone e dell’acciaio sarà stabilita a Saarbrücken, da quando il territorio sarrese sarà stato dotato, con l’approvazione della popolazione sarrese, di uno statuto europeo autonomo garantito dagli stati interessati. Nell’attesa della messa in vigore, che questo statuto possa essere messo in vigore, gli organismi della Comunità europea del carbone e dell’acciaio saranno stabiliti a Strasburgo. Questa è la proposta. Appena è stata presentata la proposta, c’è stata una curiosa tendenza generale a dissimularne l’importanza. Taluno ebbe l’impressione che fosse una mossa tattica, parlare nello sfondo della soluzione definitiva di Saarbrücken e dell’europeizzazione di quel territorio, per arrivare a quello che era concreto, cioè a dire Strasburgo. Siccome la proposta di Strasburgo non è benvista dai tedeschi, è sembrato a taluno che questa proposta venisse fatta in questa forma, legata a questa prospettiva futura, per ragioni tattiche, per far saper ai tedeschi che si poteva attraverso questo provvisorio a loro non molto piacevole, si poteva però arrivare ad una soluzione che poteva dare anche della soddisfazione alla cultura germanica perché la Saar è territorio germanico, dico territorio culturalmente e fisicamente parlando. Le esperienze passate pesavano sopra le decisioni e le impressioni del cancelliere, semplicemente lo si vedeva in faccia. Gli altri pensavano alle proposte proprie, ciascuno aveva in tasca una proposta per la sede. L’Olanda voleva L’Aja e i tedeschi avevano dato già la loro adesione per l’Aja pur di non arrivare a Strasburgo, il Belgio voleva Liegi, il Lussemburgo Lussemburgo e i tedeschi niente Strasburgo. Dicevano noi non desideriamo che la sede sia in uno Stato dei 3 grandi, in uno dei 3 grandi.

Voi vi potete immaginare qui la discussione come si è svolta: da una parte i vantaggi della concentrazione, vantaggi evidenti per l’ unificazione futura, di mettere tutti gli organi, tanto per il carbone come quelli della difesa, tanto gli organi esecutivi come le assemblee a Strasburgo dove ormai c’erano le istallazioni, dove ormai c’è una certa tradizione dell’unificazione europea. Ragioni al contrario di altri che dicevano: a Strasburgo non si fanno che discorsi, bisogna avere un ambiente molto sereno, tanto che scherzando, fra parentesi, ho detto che la serenità maggiore si avrebbe sulla laguna di Venezia, perché stavano cercando l’Aja eccetera, molto sereno, bisogna occuparsi degli affari e altri che tiravano fuori un altro argomento, che naturalmente è un argomento che non è senza valore, un certo criterio di giustizia distributiva, per cui mettendo una delle istituzioni, per esempio l’Assemblea da una parte, e l’Alta Autorità che è l’organo esecutivo principale dall’altra e il Comitato consultivo da un’altra ancora, l’Alta Corte, che è il tribunale supremo, da un’altra ancora si accontentavano le diverse tendenze, le diverse aspirazioni, creando così un interesse comune complessivo, che voleva dire in fondo unificazione morale per lo meno. Ciascuno poi ha presentato i vantaggi economici della propria soluzione, le comunicazioni, la rapidità delle comunicazioni, il fatto anche che una commissione interinale abbia visitato tutti questi luoghi era provato, aveva esaminato le possibilità delle installazioni, la parte tecnica, insomma.

Allora nacque il sospetto che la proposta francese, nella prima parte dove si parla della prospettiva dell’europeizzazione della Saar, fosse piuttosto da considerarsi come un considerandum, ma che la conclusione fosse la proposta riguardante Strasburgo, il cosiddetto provvisorio, e voi sapete che quando si parla di provvisorio non è mai sicuro quando il provvisorio termina e il permanente incominci. Fu in questa situazione, direi di dissimulazione della gravità del problema, che io ho afferrato, come si dice, il toro per le corna e ho fatto questa dichiarazione, non questo termine dichiarazione ma il contenuto, le mie parole potevano essere le seguenti: anche l’Italia può offrire possibilità, come gli altri paesi, di sedi convenienti, di collaborazioni, di possibilità di comunicazioni e anch’essa può cercare congrue soddisfazioni che corrispondono alla dignità della sua Nazione, alla sua popolazione, al fatto che è grande e che ha un grande consumo, per lo meno altrettanto che l’Olanda, e poi se si parlasse addirittura, e qui è caduta la frase di Torino, se poi si dovesse applicare il criterio della cosiddetta giustizia distributiva, che aveva messo avanti soprattutto Van Zeeland, allora noi abbiamo delle sedi preparate da decenni, ne avanziamo dal Risorgimento, abbiamo Torino, vi potremmo fare una sede dell’Assemblea meravigliosa. Però tutto questo, deve essere chiaro, si trattava, si tratta, di una posizione dialettica e tattica. Venendo però a conclusione e volendo esprimere il nostro pensiero, noi miriamo all’unità europea. Noi quindi crediamo di accogliere il criterio della concentrazione, e soprattutto poi non abbiamo obiezioni da fare a Strasburgo.

Per quanto comprendiamo che le lunghe discussioni, le tendenze di logomachia che sono tendenze particolari di tutti i parlamenti, possono anche disturbare ma sono malanni che portano con sé la democrazia e che si potranno superare. Io aggiungevo però: ma tutto questo è secondario, la novità straordinaria, dinanzi alla quale bisogna arrestarsi, è la proposta del definitivo fatta dalla Francia, fondata questa proposta su un accordo franco-tedesco, cioè la proposta della Saar. Di fronte a questo problema tutto il resto passa in seconda linea e insistevo perciò, perché esso venisse considerato come centrale e di comune interesse, pregando Adenauer, che se ne stava zitto, e diffidente, di prendere posizione, di dire la sua opinione, di affrontare il problema. Bisogna dire che il fatto della sorpresa, il fatto cioè che la proposta non era preveduta, rese naturale una certa reticenza nelle dichiarazioni, perché nessuno aveva avuto tempo di prepararsi su argomenti. Adenauer si limitò a chiedere spiegazioni, dettagli, le condizioni di questa proposta. Quali sarebbero state le linee della soluzione a cui pensava il ministro francese?

Anche la risposta non poteva essere che evasiva in quel momento. Allora io feci la proposta di interrompere la discussione su questo argomento, cioè della sede, di lasciarla completamente aperta fino a che i tedeschi e i francesi avrebbero avuto occasione di riparlare e di trasmettersi, di scambiarsi delle idee circa la proposta fondamentale. Così fu e la conferenza procedette trattando altri argomenti che avrete visto citati nel comunicato, come il regime linguistico, quattro lingue ufficiali, soprattutto importante la discussione sopra il testo, sopra la lingua delle decisioni dell’Alta Corte, che s’è detto, deve essere nella lingua dell’interessato, si tratta semplicemente di affari molto complicati, che esigono una chiarezza di determinazione, s’è detto e si è concluso così, ma la discussione è stata abbastanza ampia, di pro e contro, di ragioni pratiche che è inutile, con le quali non voglio ingombrare la vostra penna, poi discussioni sul Comitato consultivo, poi la nomina all’Alta Autorità. Circa le nomine all’Alta Autorità voi sapete che era da lungo tempo previsto che il presidente sarebbe stato Monnet , l’uomo che ha fatto l’esperienza, ormai ai suoi tempi, della Società delle Nazioni, e che è uno dei creatori del Piano del carbone e dell’acciaio e noi abbiamo proposto l’onorevole Giacchero ingegnere, professore universitario, il quale non rinuncerà al mandato e si dedicherà intieramente a questo compito.

Voi sapete che l’Alta Autorità è composta di 9 membri, 8 designati così dagli stati, il nono è cooptato dagli otto. La cooptazione manca ancora oggi, ma non dipende più da noi, non è più necessario che si riconvochi il Consiglio, quindi in realtà, nominati questi 8 membri, l’Alta Autorità ossia il Comitato Centrale esecutivo, questo nome non mi piace molto, insomma, ma questo centrale esecutivo entra, senz’altro può entrare in vigore. La mattina in un comitato ristretto, ristrettissimo, si ebbero delle dichiarazioni di Schuman molto importanti. Potrò dire qui, anche in pubblico, quale fu la mia impressione. Queste dichiarazioni furono una chiara professione di fede europea, espressione di un onesto atteggiamento di buon volere, un proposito di conversare coi tedeschi senza pregiudiziali esclusive. Quando si pensa che tutti i rapporti fra la Francia e la Saar vennero precisati nelle convenzioni franco-sarresi del 3 marzo 1950, convenzioni che riguardano l’unione economica, lo sfruttamento delle miniere e un accordo generale di riconoscimento dell’autonomia di governo e altre, si pensa ad altre sistemazioni che si fondano sopra una costituzione e in particolare alla Saar e sopra una serie di decreti legge del governo autonomo, di dire come ho detto prima che si era disposti ad affrontare il problema conversando, senza mettere delle esclusioni ormai dal principio, vuole dimostrare la buona volontà di lasciare aperte tutte le porte e tutte le possibilità per la discussione.

Si ricorderà che le convenzioni del ’50 vennero aspramente criticate dai tedeschi, anche dal Cancelliere, e quindi si dovrà riconoscere l’importanza di queste dichiarazioni di Schuman. Si noti poi che qui si tratta di dotare un territorio di uno statuto internazionale non per neutralizzarlo, abbandonandolo a lotte intrinseche etniche, che per fortuna là non esistono perché si riconosce l’appartenenza alla cultura germanica, ma trasformandolo in un centro capitale dell’Unione Europea come è il distretto di Columbia negli Stati Uniti come Camberra nell’Australia. È poi riservata sempre l’approvazione della popolazione e la garanzia di tutti gli Stati interessati. Il problema si presenta quindi in una maniera che non ha paralleli. Considerando questa impostazione voi troverete naturale che io abbia insistito perché la questione venisse affrontata. E dopo le dichiarazioni di Schuman la considerazione che veniva da parte del Cancelliere si dimostrò subito più attenta e direi che si comprese subito che c’era un filo. Nel pomeriggio dopo una conferenza che egli ebbe con il ministro Pleven e con Schuman venne a dirmi che, molto diplomaticamente e con molta cautela, gli pareva che una finestra si fosse aperta. E così si creò una prudente ma fondata attesa per la soluzione definitiva. E poiché le cose, una volta messe in moto corrono di più forse di quello che gli uomini pensano, lui ci disse subito che se la questione era solubile si poteva vederlo in un mese due mesi, bisognava vedere non dico che tecnicamente il problema poteva essere perfetto ma si potevano vedere le linee ricostruttive accettabili per l’una e l’altra parte. E allora la questione del provvisorio, quale doveva essere provvisoriamente la sede, diventava veramente secondario.

Direi che l’accanimento sembrava che dovesse cessare da una parte e dall’altra. Poi si sarebbe dovuto parlare in settembre quando si sarebbe convocato l’altra seduta, tanto più che nell’agosto come avevo detto prima, poco si potrebbe fare, senonché nella discussione la lotta si riaccese perché si sospettò che i tedeschi, che si erano dichiarati per L’Aja, e contro Strasburgo, qualora avessero trovato la prospettiva di una soluzione definitiva comune con la Francia, cioè Saarbrücken, allora sarebbero stati più facili ad accedere ad un accordo sui desideri della Francia di andare provvisoriamente a Strasburgo. E allora i piccoli candidati delle altre nazioni si sono rimessi in moto e benché si dichiarasse che il punto di vista sul provvisorio rimarrebbe libero per l’autunno, tuttavia, questo si doveva ammettere che la proposta francese era unitaria, il problema si tornò a ripresentare nella discussione. Per il momento si aggirò la difficoltà occupandosi dell’Alta Autorità e così abbiamo trovato anche delle difficoltà perché il candidato dell’ex ministro Eyskens nell’ultimo momento aveva ritirato la sua candidatura e bisognava aspettare, ma intanto si poteva pensare che per la convocazione del Consiglio d’Europa che era il 15 settembre questo poteva essere considerato l’ultimo termine per il quale noi dovevamo preparare tutto. Avevamo concluso così, avevamo preparato i nomi dell’Esecutivo, avevamo preparato i nomi dell’Alta Corte, c’erano ancora alcune discussioni in generale, avevamo una serie di proposte per il provvisorio, ma poco importava perché la decisione doveva essere ai primi di settembre e si sarebbe evidentemente avuta a seconda della soluzione per la Saar favorevole o non favorevole. Avevamo preparato per la sera per concludere con un comunicato, quando si era tornati verso le 10 e mezza ci si è detto: ma non è possibile non fare un ultimo tentativo e anche nelle trattative succede come nella catarsi della tragedia greca, nella stanchezza dallo sforzo si ebbe un tale desiderio di uscire dall’imbarazzo che il tentativo viene ripetuto con maggiore energia. Questo tentativo è durato fino alle 5 e mezzo di mattina.

Non si trattava più dell’alternativa Saarbrücken come permanente o Strasburgo o altro come provvisorio ma l’alternativa era se i negoziati per la Saar sarebbero falliti, il provvisorio sarebbe stato definitivo, per forza definitivo, ma lasciando tale decisione a quando i negoziati si fossero conclusi o avessero dimostrato un qualche progresso tranquillante, di designare invece per ora una sede, che non chiamo più provvisoria, interinale, la sede …. come dicono i francesi per la costituzione dell’immediata entrata in funzione dell’Alta Autorità. Detto questo bisogna che diamo l’impressione che si costituisce subito e ci costituiamo e vuol dire che poi se dovremo cambiare sede non casca il mondo perché in un mese, mese e mezzo non faremmo né delle grandi spese né delle grandi … D’altro canto c’era un rapporto delle commissioni le quali accertavano la possibilità di installazioni e per ragioni tecniche e di comunicazioni di cinque luoghi di cui uno era Lussemburgo e dopo molto dire e ridire le ragioni tecniche ed economiche ci portarono a concludere che questo interinale, questa sede interinale doveva essere Lussemburgo. Qui si osserva che gli stati minori sfuggono meno che i grandi alle questioni di dignità e di prestigio. Fu in questa soluzione dialettica di connessione fra l’una cosa e l’altra quando cioè per i belgi sorse la questione anche della presidenza dell’Alta Corte, che nella discussione saltò fuori di nuovo Torino. Ma se voi avete Bruxelles che v’era proposto e volete anche il presidente dell’Alta Corte? Siete incongruenti, una delle due! O voi avete Bruxelles e l’Alta Corte viene a noi, o l’Alta Corte la volete voi e allora abbiamo fatto i nomi anche noi di un’assemblea principale.

Ma per la verità solo con valore strategico, ossia dialettico, noi sapevamo benissimo che praticamente la questione non poteva essere fatta, soprattutto non era di nessun valore processorio per il risultato da ottenere. Alla fine l’accordo venne raggiunto circa le nomine e la presidenza dell’Alta Corte rimase attribuita all’Italia. Venne fissata la data del 10 agosto come entrata in vigore e come installazione dell’Esecutivo e dell’Alta Corte. Questi pochi giorni sono necessari per la accettazione dei membri, perché i membri erano stati nominati, designati, ma non tutti avevano già accettato e il 10 settembre come prossima riunione dell’Assemblea. Dove? A Strasburgo. Ecco la concessione che è stata fatta alla Francia perché almeno in ogni caso la prima assemblea si facesse a Strasburgo. E le ragioni di Strasburgo, direi esteriori oltre che intrinseche, sono quelle cui ho accennato prima, quando ho spiegato la nostra proposta, cioè il contatto con gli inglesi, il cosiddetto piano Eden. Ora una prossima riunione dei ministri dovrà prendere le decisioni definitive circa la sede permanente in relazione ai risultati della Saar. Questa è l’impostazione cui siamo arrivati per le nostre insistenze. Cioè, nel comunicato ufficiale stesso e nelle decisioni è detto che prima di venire alla decisione del definitivo conveniva assolvere questo compito: di affrontare il problema. Se nel problema della Saar le prospettive saranno favorevoli allora è evidente che tutti sono d’accordo che il definitivo è la Saar.

Resta aperta la questione del provvisorio ma perde evidentemente importanza e nel quale il precedente di Lussemburgo di avere le installazioni eccetera può avere anche un certo peso. Come ho detto prima non si può sottovalutare anche il fatto che la prima assemblea è a Strasburgo, perché rappresenta oltre che per motivi razionali di concentrazione, anche una concessione al piano Eden. Voi sapete che nel piano Eden gli inglesi chiedono di essere, di avere degli osservatori che partecipino all’assemblea. Non è molto chiaro se la loro richiesta riguardasse oltre che l’assemblea anche le commissioni. Noi l’abbiamo interpretata nel senso che nelle commissioni lavorano coloro i quali sono più direttamente interessati, ma nel momento delle decisioni possono partecipare come osservatori anche coloro i quali hanno un rapporto particolare di garanzia, come gli inglesi ed eventualmente anche altri. Questo «eventualmente altri» è rimasto un po’ in sordina perché il problema si dovrà in settembre definire. Dunque noi abbiamo sostenuto un duplice punto di vista: gettare o mantenere ponti, ma non confondere le responsabilità circa il carbone e l’acciaio e circa la difesa. Vi faccio osservare che, non so se voi avete questa impressione di lontano, ma i giornalisti che erano presenti me lo possono testimoniare, anche i giornalisti francesi, furono sorpresi che durante queste discussioni dell’acciaio e come conclusione nel comunicato si parla senz’altro del problema della Saar. Va posto il problema della Saar, e posto in questa forma non era più possibile evitarlo e qui è, secondo me, il progresso fatto. Non è più una questione che si possa dissimulare, è una questione che bisogna affrontare. Può anche essere, c’è un rischio nella storia sempre in certi momenti che le cose vadano male, non è detto che riusciranno veramente, perché le difficoltà sono notevoli, innegabilmente sono notevoli, ed i fattori che debbono prendere la parola parecchi, ma non può più essere che si dissimulino. In ogni modo le questioni esistono e quando le questioni esistono bisogna affrontarle specialmente se si tratta di una questione come quella della Saar. Il ragionamento è chiaro: se fra Francia e Germania ci sarà un accordo per la questione della Saar, allora in Francia e in Germania e negli altri stati la ratifica dello statuto della difesa è assolutamente accettabile e più facilmente accettabile, se invece l’accordo non ci fosse il pericolo sarebbe grave.

Vorrei fare ancora un’osservazione sopra i risultati dei metodi di lavoro. Necessaria è, questo bisogna dirlo a quanti illustrano, volontà e speranza, necessaria è una pazienza tenace. Non si può procedere solo con progetti architettonici sulla carta o con proclamazioni statutarie generiche. Ho detto ai giovani che erano venuti a salutarci alla stazione che l’edificio europeo non può essere fatto come una casa prefabbricata, perché deve essere una costruzione razionale, questo razionale vuol dire tener conto delle correnti della storia, della contraddittorietà degli interessi, adattarla alle esigenze e alle ispirazioni politico-economiche. E se nella costruzione, come avviene talvolta ai nostri costruttori, specialmente a Roma, si incappa quando si fanno le fondamenta in un sottosuolo archeologico, ovvero, questo vuol dire le difficoltà storiche, no?, oppure geologicamente debole, le infiltrazioni, allora bisogna mettere l’escavatrice, o la perforatrice là dove si rivela l’intoppo: ecco la Saar. Secondo osservazioni che vorrei fare che il metodo dell’avvicinamento umano deve essere identificato, deve essere intensificato, avallato e intensificato. Nel contatto personale diretto la voce della coscienza e il senso della responsabilità si risvegliano. Senza dubbio noi abbiamo bisogno della formula, della preparazione della formula diplomatica, abbiamo bisogno della preparazione tecnica, si può fare attraverso gli atti attraverso le pratiche, ma mai si arriva a quella immediatezza di espressione, a quella naturalezza di conclusione a cui si arriva nel dibattito a tu a tu quando l’uomo sente di essere responsabile verso la propria nazione e verso la propria storia, ma responsabile anche verso l’avvenire dei colleghi, degli interlocutori con i quali si è intrattenuto. Dico questo perché mi pare puerile l’ironia di certi giornali che cercano di gettare discredito su quest’opera e si meravigliano se le difficoltà nascono e rinascono.

Quando si pensa la storia degli ultimi decenni, congressi di partiti, parlo di congressi soprattutto internazionali, che discutono animatamente sopra le formule e che non arrivano a nessuna conclusione o arrivano a conclusioni negative o continuano, il periodo dopo le conclusioni, a dibattere nelle discussioni, alle difficoltà di tenere insieme un partito un’idea anche quando l’idea fondamentale è la medesima, quando penso alle difficoltà dei congressi internazionali, dei compromessi sopra tesi differenti, congressi di giuristi, congressi tecnici o congressi di periti e quando penso alle difficoltà parlamentari entro una stessa nazione, perché volete essere così rigorosi dinanzi ad assemblee ristrette sì ma che rappresentano diverse assemblee, che rappresentano diverse correnti storiche e fanno lo sforzo di conciliazione passando sopra ponti che vengono certe volte gettati come i ponti provvisori dell’avanzata di un esercito perché non c’è il tempo di creare le fondamenta, perché spesso una cosa spinge l’altra. Mi pare per la verità che è far torto alla nostra generazione di non riconoscere che con questo metodo che abbiamo seguito e che seguiremo si fanno notevoli progressi. Vi dirò anche, vi confesserò che in questi giorni io ho ammirato specialmente due uomini: il ministro degli Esteri francese, che in quella mattina, dopo la mia interruzione, ha avuto delle parole meditate sulla Saar e sui rapporti con la Germania, che hanno aperto la possibilità di nuove sistemazioni internazionali, e Adenauer, così attento difensore delle istanze germaniche, ma che nonostante le dure prove del dopoguerra e molte delusioni, nei momenti delle decisioni sente e manifesta pur sempre la responsabilità europea. Lasciate che finisca esprimendo la fiducia che tale speranza che tale visione ottimistica che io ho non mi venga meno e che io abbia in ogni modo dei successori con la stessa fede con la stessa volontà di continuare quest’opera.

(Archivi Storici dell’Unione Europea, ASUE – Fondo Alcide De Gasperi, Interviste, 37)