La nostra Patria Europa

DOCUMENTI − DE GASPERI E LA CED

Discorso di De Gasperi alla Camera dei Comuni

Londra, 15 marzo 1951

Ringrazio il presidente per le sue gentili parole all’indirizzo dell’Italia e mio. Sarò lieto di parlarvi dell’Italia. Sarò breve il più possibile. Le cose che dirò non vi saranno forse nuove, ma vi potranno apparire sotto un nuovo aspetto, provenendo da uno che è al centro dell’attività politica italiana. Quali sono gli elementi permanenti o contingenti che condizionano la politica generale italiana di oggi? Vi è, anzitutto un fondamento psicologico. La storia e la nostra secolare letteratura e cultura hanno creato, come in altri paesi, una forte coscienza nazionale. Questa può avere ecceduto sotto la spinta del nazionalismo fascista, ma il suo fondamento vitale e permanente si è sempre frammisto al senso dell’universale, derivante, per alcuni, dal cristianesimo, per altri dalla dottrina del Mazzini e per altri ancora dal socialismo romantico. In questo senso l’Italia non è mai stata una isola.

Pertanto, la democrazia in Italia si evolve verso un sentimento nazionale positivo nell’ambito di un’ampia concezione della cooperazione internazionale. Prendete ad esempio queste due tendenze: da una parte un alto grado di sensibilità per la questione di Trieste e dall’altra il disinteressato servizio in favore delle Nazioni Unite in Somalia (e ciò malgrado l’amara perdita delle colonie). Ne consegue che anche la volontà di ricostruzione del paese non è soltanto un sentimento nazionale egoista. È anche il risultato di una universale concezione della civiltà cristiana: per cristiano intendo il lievito evangelico che ha modellato e spiritualizzato le antiche civiltà.

Ma vi è anche una particolare psicologia del dopoguerra in Italia. L’Italiano, come sapete, è profondamente individualista. È difficile trovare il tipo medio dell’italiano. Il suo individualismo qualche volta lo conduce a ritenersi persino esonerato da obblighi disciplinari. Contro questa tendenza nazionale, il fascismo tentò di imporre una disciplina tirannica che, com’era ovvio, fu subito odiata. L’ultima fase della guerra fu una rivolta contro lo Stato. Secondo la maggioranza, questa fu contro lo Stato fascista; altri invece la considerarono una rivolta contro lo Stato borghese. Così, la guerra ci portò la liberazione. Ma nello stesso tempo essa fatalmente generò, certamente contro le intenzioni dei liberatori, un potenziale esplosivo e rivoluzionario: il comunismo. Qual è ora la situazione interna? Fino al 1947 eravamo un paese conquistato, in attesa di giudizio da parte delle quattro potenze vittoriose. Avevamo fatto il nostro laborioso cammino – «guadagnandoci il prezzo del pedaggio» per ripetere la frase del Sig. Churchill – verso le capitali del mondo per difendere la causa di una nuova Italia democratica, meritevole di fiducia. Gli Alleati occidentali ci degnarono di qualche attenzione. La Russia (malgrado la presenza di Togliatti nel Gabinetto del tempo) fu la più dura.

Noi abbiamo pagato, con infallibile fiducia nella giustizia internazionale e nelle Nazioni Unite. Abbiamo scontato gli errori commessi, in parte da noi, in parte dagli Alleati. Abbiamo superato il collasso principalmente con l’aiuto degli Stati Uniti. Nel 1948, dopo la costituzione del Cominform (con la sua speciale sezione per la Francia e per l’Italia istituita nel 1947) e il colpo di Stato in Cecoslovacchia, ingaggiammo la battaglia per le elezioni. La lotta fu dura. La stessa democrazia fu in gioco. Chiamammo a raccolta tutte le forze democratiche, delle quali la più significativa fu costituita dal gruppo socialista capeggiato dal mio amico Saragat. Fu una battaglia per la civiltà occidentale, ma non fu combattuta però in favore delle forze reazionarie, perché il programma democristiano ha dato l’avvio a molte riforme sociali. Vi ho fatto una breve esposizione degli elementi morali e politici ai quali è legata la nostra politica odierna.

Per completare vorrei aggiungere poche parole sui fattori economici. Le principali caratteristiche del sistema economico italiano sono universalmente note. Eccesso di popolazione, mancanza di materie prime, basso reddito individuale. La popolazione – attualmente più di 46 milioni – aumenta in ragione di 450.000 unità all’anno, mentre l’emigrazione è diminuita da una media di mezzo milione all’anno avanti la prima guerra mondiale a quasi nulla negli ultimi dieci anni. Si è verificato ora un aumento, ma soltanto nella modesta cifra di 150.000 unità nello scorso anno. La scarsa emigrazione, la riconversione industriale ed economica postbellica e l’aumentato numero delle donne lavoratrici hanno contribuito ad elevare la cifra dei disoccupati, portando il numero delle persone registrate negli uffici di collocamento a due milioni.

L’assimilazione della mano d’opera disoccupata è uno dei maggiori problemi italiani odierni perché il nostro sistema produttivo deve, come fa, assorbire già 250.000 nuove unità annualmente. Vi è poi la nostra povertà di materia prime: zolfo e mercurio sono le uniche materie prime prodotte in quantità ragionevole. Il resto deve essere importato. Malgrado ciò la nostra capacità produttiva si è sviluppata tanto nell’industria che nell’agricoltura. I prodotti agricoli di generale interesse, quali la frutta, la verdura, il riso e la canapa sono stati specialmente potenziati in vista della richiesta estera; la produzione di energia elettrica è in aumento. Lo scorso anno l’Italia ha prodotto 24 milioni e mezzo di kilowattore, che rappresentano l’8% in più della produzione del 1948 e il 58% in più della produzione anteguerra. La produzione del metano – quasi 500 milioni di metri cubi – è più che raddoppiata.

La forma dell’intervento statale nell’economia italiana è un punto di particolare interesse. L’intervento statale si manifesta tanto sotto forma di amministrazione diretta, come nel caso delle ferrovie, della rete delle strade statali, (arterie principali), dei sevizi postali e telegrafici, dei monopoli di Stato (sale, tabacchi, fiammiferi); oppure tramite il possesso di azioni industriali da parte dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) (questa è una forma di controllo indiretto), i cui amministratori principali sono designati dallo Stato. Le industrie di cui l’Istituto possiede le azioni rappresentano un’aliquota importante della capacità produttiva del paese. Desidero al riguardo prospettarvi delle cifre: Costruzioni navali (controllate dall’IRI) – 80% della capacità produttiva nazionale; Compagnie telefoniche (controllate dall’IRI) – 57% dei telefoni in funzione; Industria pesante (controllate dall’IRI) – 43% della produzione di acciaio, ghisa e lamiera di ferro; Banche (controllate dall’IRI) – Le banche dell’IRI posseggono il 25% dei depositi bancari; Marina mercantile (controllata dall’IRI) – 90% del tonnellaggio lordo; Industrie meccaniche (controllate dall’IRI) – Le percentuali in questo campo variano dal 25%(costruzioni ferroviarie) al 10% (fabbriche di motori). Inoltre l’intervento statale è assicurato mediante azioni possedute in altre industrie, come raffinerie di petrolio (AGIP), ferro (Cogne) e carbone (Sulcis in Sardegna). Tali compagnie sono dirette da Consigli di Amministrazione in parte nominati dallo Stato.

L’IRI ci è stato in parte tramandato dai tempi dell’anteguerra. Dobbiamo ammettere che l’urgente bisogno di aumentare la produzione in alcuni settori e la crisi in altri (per esempio le industrie per le costruzioni navali e meccaniche) ci ha sinora impedito di riorganizzare il sistema su una base uniforme. Pertanto non abbiamo avuto la possibilità di accertare se questa forma di proprietà, controllo e impresa privata dello Stato possa essere considerata come una forma di intervento statale definitivo ed efficace. È stato designato un ministro per studiare e predisporre una soluzione organica.

L’intervento statale comunque, particolarmente in relazione all’ERP, si sta facendo vieppiù sentire tanto nei riguardi della politica direttiva che di quella finanziaria. Ora, Signori, tutto ciò, unitamente alla riforma agraria, ai provvedimenti per le aree depresse, agli aumentati pubblici investimenti onde risolvere il problema della disoccupazione, è stato il compito del mio attuale Governo che iniziò la sua attività circa un anno fa. Durante questo periodo abbiamo cominciato ad attuare il progetto di riforma agraria per 700.000 ettari (circa 1.700.000 jugeri), i quali costituiscono una parte del progetto generale per 1.500.000 ettari. Il Parlamento ha approvato il nostro piano decennale per lo sviluppo economico del Mezzogiorno, comprendente la creazione di uno speciale istituto (la Cassa per il Mezzogiorno) che ha il compito di amministrare le spese di 1200 miliardi di lire (circa 706 milioni di sterline). Desidero aggiungere ancora una parola sulla riforma agraria: quali sono i risultati raggiunti sinora?

l Parlamento ha approvato la nostra prima legge di riforma fondiaria per un’area di 700.000 ettari (circa 1.700.000 jugeri). L’entrata in vigore di detta legge ha avuto luogo un anno fa. Abbiamo sinora espropriato circa settantamila ettari, cioè più di 192.000 jugeri. Di questi, circa i due quinti (28.000 ettari, cioè 70.000 jugeri) sono stati già distribuiti ai contadini in un totale di 19 Comuni. Ciò ha comportato lo spezzettamento di tre dei più grandi latifondi dell’Italia meridionale. Desidero far rilevare che la riforma agraria in Italia non è soltanto una questione di ridistribuzione della proprietà. Essa avrà effetti sociali ed economici di vasta portata, in quanto comprende la bonifica fondiaria, l’aumentata produzione e di conseguenza una maggiore richiesta di mano d’opera. Con l’aiuto dell’ERP noi abbiamo realizzato parte del programma, provvedendo anche alla rinnovazione degli impianti idraulici. Gli investimenti statali in questi ultimi due anni sono stati raddoppiati.

Poi è avvenuta l’aggressione in Corea. Questa ci ha costretti ad armarci ed a prendere misure per la difesa interna e civile, il che ha comportato un immenso sforzo per il Paese. Le nostre spese militari ordinarie per il 1950-51 furono valutate a 500.000.000 di dollari, pari al 20% delle spese statali. Oltre a queste spese ordinarie il Parlamento ha approvato la spesa straordinaria di 250 miliardi di lire (circa 400 milioni di dollari). Ciò significa un totale di 900 milioni di dollari, pari al 36% delle spese totali dello Stato, e all’8% del reddito nazionale. Lo sforzo italiano può essere misurato con una analisi comparativa del nostro reddito pro capite. Il nostro reddito medio pro capite è di circa 260 dollari. Ciò corrisponde a circa la metà del reddito francese pro-capite, a un quarto di quello inglese, a un settimo di quello del cittadino americano. Netto di tasse, il reddito medio del cittadino italiano è di circa 180 dollari contro 1200 dollari del cittadino americano. Siamo tutti convinti che la guerra non risolve i problemi. Ma il sistema della difesa atlantica è necessario se l’Europa democratica deve sopravvivere. In ordine d’importanza la difesa sociale viene prima, ma questa non può essere attuata senza la libertà e l’indipendenza. Né essa può essere attuata senza la cooperazione internazionale. Da qui l’enorme importanza della collaborazione europea.

Quale sarebbe il destino di un perfetto sistema di giustizia sociale in Gran Bretagna, se in Italia (o in Francia) la democrazia dovesse soccombere perché i suoi problemi non possono essere risolti (come la sovrappopolazione in Italia) e se l’infezione si propagasse sul continente e oltre oceano? Lo stesso può essere detto per la Germania. So che vi sono obiezioni in proposito. Differenti livelli di vita, diversi costi di produzione, differenti condizioni della mano d’opera. Sono d’accordo che dobbiamo procedere per gradi, con occhio realistico. Sono d’accordo che «il piede a terra» è in generale un principio sano. Ma è anche vero che fino a quando noi non solleveremo un piede da terra non faremo alcun passo avanti. Gli uomini di Stato europei ed americani, però, riconoscono oggi che la fratellanza in armi non è sufficiente di per se stessa. Essa deve comprendere una solidarietà totale se la vittoria deve essere conseguita, non tanto sul campo quanto attraverso le nostre libere istituzioni e la giustizia sociale.

(Archivi Storici dell’Unione Europea, ASUE – Fondo Alcide De Gasperi, Affari Esteri, IX; Affari Esteri II, la versione inglese)