La nostra Patria Europa

DOCUMENTI − DE GASPERI E LA CED

Discorso di De Gasperi ad Aquisgrana: “Le radici spirituali dell'Europa”

Premio “Carlo Magno”, 24 settembre 1952

Signor borgomastro, ringrazio la città di Aquisgrana e lei che la rappresenta del premio che mi si è voluto conferire. Sono lieto di accettarlo, interpretandolo come un riconoscimento il quale, ben più che alla mia persona, andava alla sincerità e alla continuità degli sforzi che il mio paese in questo dopoguerra, unitamente agli altri paesi europei, ha compiuto per la riunificazione europea e a cui il mio predecessore al Ministero degli Esteri, il conte Sforza, come ella ha voluto ricordare, ha dedicato l’ultimo periodo di una nobile esistenza, tutta informata all’ideale di una superiore forma di convivenza fra i popoli. In questa opera, che ha trovato qui nel cancelliere Adenauer uno dei suoi più alti ed efficaci assertori, l’Italia e la Germania, in unione con altri governi europei hanno proceduto e procedono a fianco a fianco convinte di servire nel miglior modo possibile anche i loro interessi nazionali. Ella ha giustamente ricordato, signor borgomastro, il particolare significato che questo grande ideale di comunità europea assume in questa città di Aquisgrana. Noi siamo qui nella suggestione di una grande tradizione e da essa ci sentiamo confortati per tendere tutte le nostre volontà verso una grande speranza. I tempi si evolvono, le forze e i metodi mutano secondo le esperienze della storia.

Come dice bene, signor borgomastro, l’ammaestramento del turbinoso passato, per tutti i popoli europei, è questo: l’avvenire non si costruisce col diritto della forza, né con lo spirito della conquista, ma con la pazienza del metodo democratico, con lo spirito costruttivo delle intese, nel rispetto della libertà. A più riprese questa verità si rivela alle nazioni ma troppo spesso essa viene poi sommersa dalle ondate dell’impazienza e da forze irrazionali ed istintive. Questa ostinata vicenda ha ispirato conclusioni pessimistiche sul destino della società europea anche a potenti ingegni della nostra fede. Qui nella capitale di Carlo Magno posso ben ricordare una grande tragedia della nostra letteratura che si intesse con gesta dei franchi in Italia e finisce con le disperate parole messe in bocca al re longobardo morente, parole che dovrebbero significare il fatale andare della storia europea nella irrefrenabile vicenda delle guerre: «La man degli avi insanguinati – egli dice – seminò ingiustizia, i padri l’hanno coltivata col sangue ed ormai la terra altra messe non ha».

Siate lodati voi, o cittadini di Aquisgrana che vi ribellate a questo pessimismo con la esperienza della vostra storia, gridate forte la vostra fede nella speranza di un mondo nuovo, fondato sulla buona volontà, sulla pace, sulla difesa della libertà. Noi sappiamo che per non tradire questa speranza dobbiamo gettare il seme non della ingiustizia, ma della fraternità e della tolleranza, tendere a sciogliere le dissonanze, tentare e ritentare con tenace ottimismo la sintesi creatrice delle antitesi passate. È vero che altre volte uomini di Stato illuminati hanno gettato invano questo seme, ma è anche vero che questa nostra stagione appare per il seminare quella più favorevole. Il seme viene gettato in un momento in cui una minaccia comune risveglia un comune senso di difesa, in un periodo di prostrazione nel quale le forze istintive del male antico non hanno ancora ripreso vigore e le nazioni ripiegate su se stesse esitano inorridite dinanzi al pensiero di riprendere il corso fatale. Si aggiunga che oggi il sorgere di un’Europa unita non può significare differenza ed addirittura concorrenza con l’alleanza mondiale patrocinata dall’America, perché anzi essa appare, come è, inquadrata nella comune speranza del mondo libero. Ma quello che più ci distingue da altri tentativi del passato è il fatto che questa volta stiamo, non solo affermando dei principi e firmando dei trattati, ma creiamo degli organi funzionanti, destinati ad inculcare l’idea e ad assicurare il suo sviluppo.

Il segreto del Piano Schuman sta appunto in questo: che la buona volontà degli Stati partecipanti viene subito agganciata a organi impegnativi ed esecutivi di solidarietà e di responsabilità comuni. Quando domani sarà ratificato anche il Trattato della comune difesa, noi avremo creato, dissodato e fecondato dei campi entro i quali il buon seme della pace e dell’unità crescerà rigoglioso fra le nuove generazioni. È per questo che mi piace in questo momento e da questa sala inviare un memore saluto anche all’illuminato promotore del primo Piano, ed un plauso a tutti coloro che vi hanno collaborato. Ci si potrà obiettare che queste sono limitate realizzazioni se paragonate alla concezione di una Confederazione di Stati in cui il momento supernazionale prevalga su quello regionale o locale. Ma la storia dimostra che gli inizi di qualsiasi aggregato supernazionale sono sempre modesti: dettati da una esigenza difensiva che riunisce insieme popoli già legati da stretti rapporti economici, storici e culturali; che agli inizi il decentramento dei poteri all’interno della Confederazione è talmente accentuato da rendere debole e timida l’attività degli organi confederali e che solo il tempo mette in movimento forze centripete che finiscono per vincere le resistenze periferiche. Agli scettici basterà ricordare che la stessa Confederazione svizzera, ora giustamente presa a modello di una illuminata e armonica convivenza in un unico quadro stabile di popoli di diverse lingue, origini e costumi, rimase per lungo periodo poco più di una perpetua alleanza difensiva, la cui Dieta federale non era che la riunione degli ambasciatori degli Stati membri: cioè press’a poco lo stadio federativo in cui si trova già l’Europa occidentale.

Siamo quindi ottimisti, giacché riteniamo di essere alla vigilia del superamento di un tale stadio e della costituzione di una autorità federale che non sarà organo comune degli Stati membri, bensì portatrice di interessi supernazionali e dotata dei relativi poteri. Siamo cioè sulla strada, per effetto della concorde volontà dei governi, di quella forma superiore di confederazione che altrove fu raggiunta solo attraverso una lentissima evoluzione. La fede ci sostiene e l’ottimismo, quando si tratta di realizzare un grande ideale politico e umano quale la riunificazione europea, è virtù costruttiva. Di pari passo però con il rafforzamento e l’accrescimento di potere delle istituzioni federali, devono procedere i progressi di una mentalità europea. Le istituzioni supernazionali sarebbero insufficienti e rischierebbero di diventare una palestra di competizioni di interessi particolari, se gli uomini ad esse preposti non si sentissero mandatari di interessi superiori ed europei. Senza la formazione di questa mentalità europea ogni nostra formula rischia di rimanere una vuota astrazione giuridica.

Ed è appunto qui che l’attività delle istituzioni e delle fondazioni, che come quella della città di Aquisgrana si propongono di incrementare il pensiero europeo, si rivela di una estrema utilità. Esse infatti non soltanto compiono un lavoro propedeutico che fornisce utili spunti costruttivi agli uomini di Stato che lavorano a tale costruzione, ma informano le nuove generazioni all’ideale europeo e contribuiscono quindi potentemente a far sì che esse siano i migliori custodi del patrimonio comune che noi lasceremo loro in eredità. Porgo pertanto, alla fondazione «Premio Carlo Magno» i più sinceri auguri per un sempre maggiore successo dei fini che essa persegue, ed a lei, signor borgomastro ed alla città di Aquisgrana rinnovo il mio ringraziamento per l’onore oggi concessomi.

(Archivi Storici dell’Unione Europea, ASUE – Fondo Alcide De Gasperi, Affari Esteri IX, a, 4)