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Roma, 4 luglio 1950
Vi porto il saluto del governo italiano, governo democratico, perché affonda le sue radici nelle classi popolari e cerca di superare le differenze di origine e le tendenze ideologiche nella realizzazione della giustizia sociale; tutto questo in uno sforzo quotidiano verso la massima occupazione e l’elevazione del salario agricolo e industriale. Tutte le democrazie europee hanno la stessa aspirazione: risolvere il problema sociale. Purtroppo il nostro cammino si attarda a causa della nostra sovrappopolazione, della povertà delle riserve materiali e di capitali. Ma, d’altra parte, non è vero che la nostra limitatezza di mezzi sia la ragione fondamentale del nostro atteggiamento favorevole alla creazione di una Europa unita.
Non si creda che la formazione di un mercato europeo composto di paesi ricchi di materie prime e più progrediti di attrezzature industriali non rappresenti anche per noi un rischio e un complesso di difficoltà da superare. Il tenore di vita è certamente relativo e corrispondente alle risorse naturali e alle energie morali di ciascun paese; nessun paese può accettare né una stasi definitiva né un rallentamento sul cammino del progresso. Tutti i popoli, ricchi o poveri, possono essere chiamati idealmente a fare dei sacrifici sull’altare dell’unità. Trovo giusto che il vostro Congresso abbia posto al centro dei suoi lavori la nozione dell’uomo, della persona umana e, più particolarmente, il concetto europeo dell’uomo e della sua dignità nell’articolazione delle esigenze tecniche sociali ed economiche entro le quali la persona umana deve pur sempre muoversi liberamente e dignitosamente.
Di tale esigenza, nei vari paesi, vi è un massimo e un minimo, ma il minimo non può essere che un punto di partenza per arrivare a un livello superiore. Mi felicito con voi perché il vostro programma di lavoro non sfugge a tali problemi economici ma li affronta. Si è affermato che questi sforzi sono inutili o prematuri perché la democrazia fallisce o prevale a seconda della situazione economica che si è capaci di creare. Il comunismo – si dice – regna là dove è la miseria. E come negare che la miseria è l’alleata più efficace della sovversione estremista?
Tuttavia ogni illazione precipitata e generica è sbagliata. Non è vero che la democrazia dipenda solo dalla situazione economica, come non è vero che la situazione economica possa in ogni paese modificarsi nella stessa misura, e con gli stessi mezzi. Le condizioni naturali, la evoluzione storica rendono ineguale il punto di partenza per i vari popoli dopo l’immediato dopoguerra. Non è vero che in Europa abbiamo provato tutti le stesse esperienze economiche, politiche e sociali e che con gli stessi mezzi si sia tentato di arrivare ai medesimi obiettivi. L’evoluzione storica e le condizioni naturali rendono quindi ineguale il punto di partenza anche per uomini e riformatori animati dallo stesso spirito e dalla stessa fede nella giustizia sociale. Diverse sono le diversità storiche e naturali che si ricollegano a situazioni precedenti.
Non è vero poi che il comunismo sia anzitutto un sistema economico. Su ogni sistema economico si può discutere. Ogni sistema economico ha dei lati ragionevoli. Ma non è vero, ripeto, che il comunismo sia solo un sistema economico. Ogni sforzo deve essere fatto per disciplinare con giustizia la produzione e la distribuzione, ma si illude chi crede, con ciò solo, di eliminare il pericolo comunista. Alla giustizia sociale, che è relativa alla situazione delle varie economie, bisogna aggiungere – anzi far precedere – il sentimento, il postulato e il consolidamento delle libertà politiche, in una parola: la difesa del sistema democratico. Questa è la premessa indispensabile e assoluta per tutti i popoli; questo è il problema principale dell’unità europea. Allo stesso modo è il problema della difesa atlantica e della salvezza del mondo libero.
Facciamo dunque ogni sforzo verso la giustizia sociale, addestriamoci nel faticoso cammino della tecnica unificatrice dell’economia, ma non dimentichiamo la libertà, la necessità di conservare o conquistare ai popoli un reggimento libero nel quale il programma sociale si sviluppi in armonia con la dignità e con i supremi destini dell’uomo. Se la dimenticassimo, i colpi improvvisi della forza bruta ci richiamerebbero alla realtà e anche chi si ritenesse fortunato nell’isolamento sentirebbe – e lo sente oggi – che la salvezza è nell’opera comune nello stabilimento dell’unità.
(Archivi Storici dell’Unione Europea, ASUE – Fondo Alcide De Gasperi, Carte Bartolotta, 1950, IX; “Il Popolo”, 5 luglio 1950)