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17 settembre 1951
Quale rappresentante di un paese situato nella zona immediata del pericolo e che, anche se l’aiuto esterno potesse rimediare in parte alle debolezze della sua struttura economica troverebbe comunque dei limiti artificialmente creati dalle restrizioni del trattato di pace, sono naturalmente disposto più di altri ad ammettere l’insufficienza dei mezzi di difesa dell’Europa occidentale rispetto ai programmi previsti come necessari dagli esperti. Vorrei anche sottolineare, attraverso la testimonianza diretta di quanto successo nel mio paese, il significato delle dichiarazioni rese dal Sig. Acheson riguardo al grande successo della politica di assistenza statunitense in Europa. Infatti attraverso la collaborazione dei paesi liberi il Patto atlantico, come il piano Marshall, ha avuto il risultato di sollecitare, incoraggiare, rendere possibile la resistenza sul fronte interno, e di stabilire un fronte difensivo della democrazia. Senza questo atto di solidarietà, soprattutto da parte del continente americano, la prima linea del fronte anticomunista in Europa sarebbe già stata spezzata senza che fosse possibile opporre alcuna resistenza. Siamo quindi davanti a un successo preliminare di grande importanza.
Non è certamente necessario ricordare qui che coloro che hanno formulato l’art. 2 del Patto atlantico avevano ben chiari i due aspetti della minaccia bolscevica: l’invasione armata attraverso le frontiere e il rovesciamento delle libere istituzioni dall’interno. La difesa contro l’aggressione armata è diventata, nel Patto atlantico, una responsabilità condivisa della sicurezza comune, mentre la difesa contro l’erosione interiore resta responsabilità immediata di ogni governo libero; ma il patto prevede che le nazioni associate seguano una politica generale per lo sviluppo della democrazia attraverso la cooperazione internazionale oltre che attraverso uno sforzo comune verso la giustizia sociale. Era chiaro, a chi ha redatto il trattato, che all’impegno comune di una sicurezza garantita dalle forze armate deve corrispondere l’interesse comune di combattere il comunismo alla radice.
Per dirla con Truman, il modo migliore per fermare la sovversione istigata dal Cremlino è colpire alla radice l’ingiustizia sociale e il disordine economico. È chiaro che, in questo ambito, il compito principale e la responsabilità diretta sono in capo a ogni governo nazionale. Per quanto concerne il mio governo, tengo a sottolineare che il problema della redistribuzione della ricchezza ha tutt’altro aspetto in un paese dove il reddito annuale pro capite ammonta a 670 dollari e in uno dove è di soli 248 dollari lordi. Inoltre, il pieno impiego pone un problema ben più difficile per un paese che, come l’Italia, ha una crescita annua della popolazione pari a 450mila individui, una domanda nel mercato del lavoro che aumenta ogni anno di 200mila unità e che, infine, non possiede materie prime e deve sempre contare sull’esportazione di manodopera. Il governo italiano non risparmierà gli sforzi per moltiplicare la possibilità di lavoro.
Ma non sarebbe forse nell’interesse comune che i disoccupati italiani potessero trovare un’occupazione, foss’anche temporanea, nei paesi dove la manodopera scarseggia, specialmente nel settore della difesa e della produzione militare di cui oggi ci occupiamo? Non sarebbe possibile e desiderabile che i cantieri italiani, che sono attualmente quasi abbandonati, o che le industrie meccaniche, obbligate a congedare i loro operai, lavorassero per i paesi atlantici e dunque per la causa comune?
L’offerta di lavoro è certamente più efficace e decisiva dei contributi finanziari, poiché fa aumentare la produzione dei mezzi di difesa, incoraggiando anche gli operai alla resistenza contro la sovversione comunista. Non vorrei attirarmi il rimprovero di parlare solo del mio paese, benché questo rappresenti un settore della difesa comune che non potrebbe essere spezzato senza pericolo per gli altri, né che voi pensiate che pongo delle condizioni riguardo al comune dovere di difesa. Ma l’esperienza storica ci prova che la resistenza del fronte interno è indispensabile per la tenuta del fronte esterno.
Mi permetterete in proposito qualche osservazione suggeritami dal comunicato pubblicato alla fine delle conversazioni anglo-franco-americane a Washington. Il comunicato ha infatti menzionato la contraddizione esistente fra certe clausole contenute nel trattato di pace italiano e la posizione dell’Italia fra le nazioni libere. I tre governi guardano con simpatia alla possibilità di eliminare questa contraddizione. Potrebbe esserci migliore occasione di questa, che ci riunisce tutti intorno a questo tavolo, per mettere fine a una discriminazione del tutto ingiustificabile e incompatibile con la piena sovranità dell’Italia e con la sua partecipazione, su un piano di eguaglianza di diritti e doveri, alla comunità atlantica? Credo che voi siate tutti d’accordo sul fatto che le relazioni fra le nazioni alleate e l’Italia potrebbero essere fondate solamente sulla leale collaborazione di noi tutti per la difesa della libertà e della pace, nello spirito della Carta delle Nazioni Unite.
È nello stesso spirito che la delegazione italiana ha preso atto con soddisfazione del fatto che le tre potenze occupanti hanno deciso di giungere ad un accordo con il governo federale tedesco su una nuova base contrattuale adatta a salvaguardare in gran parte la sua libertà costituzionale e la sua sovranità nazionale. Mi auguro che i negoziati a tal fine siano avviati al più presto, poiché un’azione ritardata potrebbe essere pericolosa per tutti i nostri paesi. D’altra parte, il Sig. Schuman ha espresso l’augurio – e anzi la certezza – che la conferenza per l’esercito europeo possa terminare i suoi lavori in maniera favorevole e rapida.
Il Sig. Morrison ha assicurato l’interesse e la simpatia della Gran Bretagna per i futuri sviluppi tecnici della Conferenza e il Sig. Acheson, a nome degli Stati Uniti, ha dato il suo pieno appoggio all’iniziativa, in considerazione del fatto che essa permette di assicurare alla difesa occidentale il contributo tedesco, che essa costituisce un passo avanti verso la creazione di una comunità europea il più possibile unificata e rafforzata. L’Italia ha dato dal principio la sua adesione all’iniziativa in questione, tenendo soprattutto conto del fatto che un esercito europeo unificato può costituire la base di un’organizzazione federale fra i paesi europei. Abbiamo la ferma intenzione di fare del nostro meglio per cercare di superare le difficoltà di carattere costituzionale, amministrativo e finanziario che, non lo si può negare, si presentano. Bisogna soprattutto trovare una soluzione al problema del bilancio, cioè al problema delle spese comuni che non può essere affrontato senza la disposizione favorevole dei parlamenti nazionali. Ciò che è importante è che, studiando le questioni strutturali, si possa trovare un sistema provvisorio che permetta alla Germania di cominciare a dare da subito il proprio contributo alla difesa comune.
La parola d’ordine dei «partigiani della pace» è che «la militarizzazione della Germania costituisce il casus belli». Bisogna contrapporvi l’argomento che se un riarmo massiccio e incontrollato potrebbe creare paura e sospetto, qui si tratta al contrario di salvare una repubblica libera attraverso mezzi difensivi limitati, nel quadro di un esercito europeo. Bisogna sottolineare che mano a mano che questa repubblica si sviluppa e ottiene le sue libertà costituzionali, essa sviluppa anche la possibilità di difenderle col concorso delle sue forze armate. Qualche parola ancora sul problema psicologico, toccato dal Sig. Morrison e da altri. Mi permetterete di ricordare che l’allargamento del Patto atlantico e le integrazioni che si renderanno necessarie, al di là delle formule del patto, per ragioni di opportunità strategica e per l’estensione inevitabile della line di difesa, non fanno che rendere ancora più indispensabile una direttrice costante per la propaganda psicologica e una tattica più efficace e più appropriata per affrontare i problemi dell’opinione pubblica europea. Il tessuto connettivo che riunisce gli stati liberi dell’Europa è il sentimento della libertà politica e l’esperienza comune del regime democratico. Abbiamo propagandato il Patto atlantico in nome della democrazia e continuiamo a farlo confrontandoci con i regimi comunisti al di là della cortina di ferro e fino ad ora non abbiamo potuto fare discriminazioni a favore delle une o delle altre.
Desideriamo che una distinzione possa essere fatta, mano a mano che il loro regime si evolve verso principi di tolleranza politica, almeno per i paesi che cominciano ad avvicinarsi all’occidente. Ma queste distinzioni non devono, a mio avviso, essere giustificate solamente da una politica discriminatoria ispirata unicamente all’interesse militare, perché altrimenti correremo il rischio di ricadere nell’illusione nutrita durante la seconda guerra mondiale riguardo all’Unione Sovietica. Che sia ben chiaro che non mi faccio avvocato di una interferenza non dovuta negli affari interni dei differenti paesi. Nondimeno credo che la propaganda del Patto atlantico debba seguire una linea costante di difesa e valorizzazione della democrazia, poiché tale è lo spirito che spinge i popoli liberi dell’Europa ai sacrifici necessari per la difesa e tale deve essere l’idea suggestiva che dobbiamo fare penetrare nello spirito dei popoli satelliti. Non si può negare che le campagne bolsceviche per la pace hanno avuto successo: la nostra propaganda, disordinata e a volte contraddittoria, è riuscita a malapena a preservare i nostri popoli dal contagio epidemico.
Bisogna passare all’offensiva nella propaganda, ma questa non si può fondare, in Europa, che sull’idea di libertà e di civiltà e deve essere fatta in base a delle direttive stabilite d’accordo con tutte le forze democratiche, lasciando a ogni paese di trovare l’espressione più conforme al suo spirito nazionale. Questi sono i problemi della tattica politica che ho creduto di dovere mettere in rilievo. Voi sapete, in virtù della vostra profonda esperienza, che tutte le grandi evoluzioni storiche, anche se determinate in una delle loro fasi dalla forza, hanno la loro origine nel dinamismo di un’idea fondamentale. Alcuni di noi pensano che il comunismo – intendo dire la sua espansione in Europa – sia semplicemente conseguenza dell’espansione della società, e che causi soltanto un cambiamento nella struttura sociale. Al contrario, malgrado il suo fondamento economico e le sue origini materialiste, il comunismo è capace di sedurre la gioventù attraverso un abile utilizzo delle idee universali di pace, di giustizia internazionale, di dignità e indipendenza dei popoli. Si pone come promotore di tutte le rivendicazioni, comprese quelle di un nazionalismo esagerato.
Sta a noi dimostrare che il bolscevismo, nei problemi del dopoguerra e in quelli della pace, è il nemico di ogni distensione e di ogni compromesso e che, nelle questioni territoriali, siano esse grandi o piccole, la politica sovietica mira a esasperare i conflitti, a escludere sistemazioni eque, a mantenere sanzioni di guerra contro le nazioni che ritrovano l’indipendenza. Perché, infatti, l’Unione Sovietica si oppone ostinatamente all’ammissione dell’Italia alle Nazioni Unite, quando questa ammissione spetta di diritto al mio paese, ancor più per il suo regime democratico, la sua tradizione di civiltà, il suo contributo alla cultura e al progresso attraverso i secoli? È a voi, rappresentanti di paesi liberi e amici, che chiedo di non piegarvi a questa azione di ostracismo ingiustificabile, che è nel contempo una aperta e iterata violazione del trattato di pace e una condanna morale che nessun membro del Patto atlantico può tollerare. Vi chiedo anche perché l’Unione Sovietica abbia rifiutato, al tempo dei negoziati di pace, di accettare una o l’altra delle differenti linee etniche proposte da Stati Uniti, Regno Unito e Francia come frontiera fra l’Italia e la Jugoslavia e abbia imposto il compromesso del Territorio libero rifiutando ogni soluzione basata su considerazioni etniche che avrebbero eventualmente potuto essere verificate con dei plebisciti. Si tratta di una politica che mira alla discordia fra i popoli e impedisce la collaborazione e la coesistenza pacifica. Vi prego di credere che noi non pratichiamo l’intransigenza per principio. No. Noi insistiamo per creare un vicinato che attraverso la sua struttura razionale possa assicurare la pacifica collaborazione fra due paesi contigui e risolvere così questa questione nell’interesse della difesa occidentale.
Ecco un caso in cui ciò che ci ha detto sabato scorso il Sig. Morrison dovrebbe trovare applicazione: cioè che bisogna sostenere la fede delle masse nei principi della morale e della giustizia se si vuole domandare loro di fare degli sforzi pesanti e di sottomettersi a duri sacrifici. Bisogna che alla strategia sovietica che è ancore animata da uno spirito di guerra, la comunità atlantica opponga non soltanto il suo sforzo di organizzazione difensiva ma anche una politica di libertà, di pace, di giustizia sociale e internazionale e, per quanto riguarda il mio continente, di unità europea: ecco gli ideali che rianimeranno gli spiriti nella vecchia Europa, che riscalderanno i cuori dei giovani e creeranno, dietro agli eserciti, il fronte degli uomini liberi.
[Versione attribuita da Bartolotta] Sono noti a tutti voi, e non c’è quindi bisogno che io ne faccia qui una dettagliata rassegna i risultati benefici ottenuti finora dal Piano Marshall e dal Patto Atlantico. Basterà che io sottolinei che detti risultati si riassumono nella creazione di un baluardo di difesa della democrazia, nella sicurezza collettiva nei confronti dei pericoli esterni e nella restaurazione morale ed economica all’interno dei singoli Paesi. Vorrei piuttosto richiamare la vostra attenzione sul contenuto dell’articolo 2 del trattato perché mi pare veramente importante, guardando al futuro, sottolineare le prospettive che ci si aprono con la previsione di sviluppi della NATO diversi da quelli militari. Si tratta di costruire una solidarietà atlantica nell’interesse di tutti. Voi tutti comprendete come ciò sia importante per l’Italia che ha gravi problemi sociali ed economici derivanti soprattutto dalle sue caratteristiche strutturali di crescente sovrappopolazione e di scarsità di risorse naturali. Contribuire alla loro soluzione è nello interesse non solo dell’Italia ma anche della comunità atlantica.
Ma io vorrei richiamare l’attenzione di voi tutti sulla discriminazione intollerabile creata per l’Italia dal trattato di pace e soprattutto alla riconosciuta necessità di eliminare tale discriminazione che a me pare anche incompatibile con l’attuale posizione dell’Italia fra le nazioni libere. E ai fini del raggiungimento della solidarietà atlantica sono anche molto importanti le recenti decisioni di principio riguardanti la Germania occidentale e il progetto in preparazione per la formazione dell’esercito europeo. Concorrono poi certamente alla solidarietà stessa soluzioni di problemi non strettamente connessi con l’alleanza atlantica e per quanto ci riguarda il problema di Trieste per la cui soluzione l’Italia intende raggiungere pacifici rapporti con la Jugoslavia perché ogni altra soluzione escluderebbe una sincera collaborazione e sarebbe quindi contraria agli interessi della comune difesa.
E a questo punto non posso non rilevare tutta l’ingiustizia della esclusione dell’Italia dalle Nazioni Unite, contraria ai precisi impegni contenuti nel trattato di pace. La soluzione di questi problemi può ripeto rinsaldare i vincoli del Patto Atlantico che io ho sempre ritenuto, come ho detto in Parlamento e durante tutti i miei comizi elettorali un patto di pace, non limitatamente tecnico, come mero strumento diplomatico militare ma su un piano più ampio come progressiva realizzazione di una nuova solidarietà civile e politica, di una nuova comunità internazionale basata sulla democrazia e sulla pace sociale. Nel pensiero della delegazione italiana questa interpretazione non è soltanto la più realistica in senso generale, ma quella che meglio risponde alla situazione e agli interessi dei Paesi partecipanti ed in particolare del nostro Paese. Solidarietà europea ed atlantica significa comprensione e collaborazione sul piano economico sociale, comprensione e collaborazione sul piano politico.
La situazione economica italiana vista in relazione al problema del riarmo, del quale non ho bisogno di sottolineare l’importanza pur sempre precipua, si può brevemente riassumere nei seguenti dati: la Gran Bretagna ha deciso di spendere oggi per il riarmo circa il 9% del suo reddito nazionale. Detta aliquota tradotta in miliardi italiani, al cambio attuale rappresenta oltre 100 miliardi di lire. La Francia, dal canto suo, impiegando per lo stesso titolo il 10% del reddito nazionale, come è stato già pubblicato, nell’anno prossimo spenderà per il riarmo circa 1200 miliardi di franchi. Se l’Italia dovesse impostare spese per un’analoga quota del proprio reddito nazionale ammontante come è noto a 7000 miliardi circa, dovrebbe spendere dai 600 ai 700 miliardi annui, il che non appare possibile mentre appare più possibile una impostazione di spese per la difesa oscillante fra il 3 o il 4% del reddito nazionale e quindi dovrebbe spendere tra i 210 e i 280 miliardi di lire annualmente.
Anche questa cifra è tuttavia notevole soprattutto se si calcola l’attuale aumento agli statali che comporterà un maggior onere di oltre 45 miliardi Per la riforma agraria poi, sono stati stanziati 35 miliardi per l’anno prossimo allo scopo di operare la trasformazione e la bonifica di circa 100 mila ettari. Se si tiene conto della contrazione degli aiuti americani che si valuta per ora, salvo rettifiche, in circa 70 miliardi di lire per l’anno prossimo, ove l’Italia dovesse finanziare il riarmo e provvedere all’aumento agli statali e alle spese per la riforma agraria, si può calcolare che avrebbe bisogno di realizzare un totale di circa 430 miliardi. Se questa cifra dovesse pervenire esclusivamente da fonte interna, il carico fiscale che attualmente oscilla fra il 22% del reddito nazionale dovrebbe salire ad oltre il 30%, quota insostenibile considerando soprattutto che il nostro reddito nazionale è molto basso in confronto agli altri paesi come ad esempio la Francia e l’Inghilterra in cui il cittadino dispone rispettivamente di un reddito pro capite corrispondente al 1,6% e al 2,12 del nostro.
Per quel che riguarda la solidarietà e la collaborazione sul piano politico è chiaro che la diplomazia atlantica non può non tener conto di quanto sia giovane la nuova democrazia italiana e di come le difficoltà sul piano internazionale, così come quelle sul piano economico, finirebbero per influire sulla politica interna a tutto vantaggio delle forze antidemocratiche.
(Archivio Storico Ministero Affari Esteri, ASMAE – DGAP, 1950-57, Cassaforte 14 e 15)