La nostra Patria Europa

DOCUMENTI − DE GASPERI E LA CED

De Gasperi: «Agli italiani perché ricerchino le vie dell’Europa»

Discorso all’Istituto per il Commercio Estero,
Roma, 9 giugno 1949

È mio dovere esprimere un ringraziamento ed una parola di riconoscimento e di gratitudine verso coloro che hanno partecipato alla Conferenza Economica di Westminster. Vi saranno state delle deficienze nella nostra opera, come in tutte le opere umane, collettive, associative, parlamentari ecc., ma questi non sono che i primi passi per sviluppare le nostre forze e la nostra preparazione nella attività federativa extra statale. Ciò che più conta è la fede nel successo dell’idea: non dobbiamo essere scettici né troppo critici. Tutte le cose cominciano un po’ zoppicando, ma poi si mettono a posto, si irrobustiscono e trovano la strada facile e diritta per raggiungere dei risultati.

Questo è il cammino dell’umanità non soltanto nella vita individuale, ma nell’opera sociale. Ora io ringrazio i membri della Commissione tanto più che so come abbiano dovuto un po’ improvvisare la loro partecipazione; tuttavia, nonostante queste improvvisazioni, sono riusciti a portare un utile contributo ed a rappresentare degnamente la nostra nazione. Vorrei quindi che la mia parola segnasse incoraggiamento a continuare sulla stessa strada.

La seconda raccomandazione che vorrei fare è questa: cercare l’accordo e il coordinamento dei movimenti unionisti, federalisti ecc. Si è cominciato con un gruppo federalista che direi l’antesignano in questo movimento generale, bisogna riconoscerlo; poi sono venute le adesioni degli altri più o meno convertiti, così che queste forze, in fondo, vogliono tutte raggiungere la stessa meta finale. Di questa associazione europea, federazione o unione comunque di stati, attività insomma europea, che diventa una meta non più nei sogni ma una meta più o meno rapidamente raggiungibile, non so quanto la nostra generazione potrà realizzare; ma è certo che si cammina verso di essa.

E questa meta è una fatalità, è una necessità inevitabile ormai matura nei tempi e a cui bisogna soggiacere, né più né meno come si maturano nuove concezioni e soluzioni che si impongono nel problema coloniale, nel problema della evoluzione dei popoli indigeni, nel problema della valorizzazione dell’Africa, ecc. Bisogna avere gli occhi aperti, vedere le maturazioni e le fermentazioni che avvengono anche fuori di quelle che sono le formule a cui ci legavano le nostre condizioni passate. Quindi io vorrei raccomandare un certo sforzo di coordinamento in queste attività rappresentative, affinché di fronte all’estero possiamo veramente farci valere.

Dirò inoltre che se c’è un movimento che corrisponda ai nostri interessi è proprio questo che prepara il campo di dilatazione del popolo italiano, perché entro i confini non ci stiamo. Dobbiamo assolutamente andar fuori. Ora, siccome non è più il tempo in cui si poteva andare con [de]gli eserciti verso le conquiste od a combattere delle crociate, bisogna pure adottare l’altro sistema: quello del lavoro e della cooperazione tecnica e intellettuale. Bisogna prepararsi con uno spirito non egoistico, poiché forse non noi ne coglieremo il frutto; prepararsi con la visione dell’interesse dei nostri figli, delle necessità avvenire del nostro popolo.

E allora la dilatazione, nel campo del lavoro soprattutto, diventa per noi un programma di politica sociale del quale non possiamo distinguere, staccare, il concetto nostro politico generico. Quando parliamo di pace, in fondo non parliamo che di questo, cioè di cooperazione nel lavoro; quando diciamo pace intendiamo cioè dire lavoro, quando diciamo collaborazione europea intendiamo dire soprattutto collaborazione economica. [Questo, mi pare, è chiaro come il sole].

Ma qui sorge sempre la questione: noi italiani dobbiamo prepararci meglio di quanto abbiamo fatto finora, e cioè, in tutte le iniziative che prenderete, voi ad esempio che siete in questo benemerito Istituto, non dovrete aspettare la spinta del governo, che fra l’altro è più o meno assorbito da compiti diversi. Bisogna che le iniziative associative e i privati lo aiutino. Il Governo a sua volta ha il dovere di dare il suo contributo. Bisogna che sorgano queste volontà di operare sul piano superiore, nel campo più largo dell’Europa. Quindi bene vengano queste iniziative; questo tentativo di dilatazione, di preparazione soprattutto, è da lodarsi, è degno di appoggio.

Dobbiamo intanto incominciare a parlare più lingue in Italia. Questa è una necessità fra le altre. Guardate gli operai che sono partiti, i profughi che sono passati a milioni, i centomila profughi che transitano per l’Italia per andare in Australia e che appartengono a tutte le nazioni del mondo; essi fanno durante il viaggio e durante la loro permanenza in Italia, il loro catechismo linguistico. I Governi lo desiderano. Questo significa che nella nostra preparazione generale, non possiamo agire alla leggera. Le organizzazioni associative soccorrano l’individuo, lo preparino e preparino dunque quelle scuole di perfezionamento che già ci sono e che vanno ulteriormente sviluppate; preparino il ceto medio, il ceto colto. Abbiamo il grande proletariato intellettuale che ha bisogno di espansione, altrimenti non si respirerà più in Italia con tutti i dottori che non hanno niente da insegnare e niente da curare.

Evidentemente abbiamo bisogno di questa preparazione ad una attività d’oltre mare, d’oltre confine e guarderei con questo sentimento proprio in senso inverso di quello che guardava il fascismo, il quale credeva di dover concentrare la forza d’Italia per poi farla scoppiare ad un certo momento. Io non credo alla utilità di questo scoppio, e noi ne abbiamo avuto la prova. Non credo a questo sistema ma credo alla penetrazione del lavoro e della cultura, e mi auguro che si possa realizzare una opportuna preparazione così che quando sarà possibile sciamare, chi parte e chi resta si sentirà unito nei rispettivi e pur diversi compiti di un comune lavoro.

Questo è l’«impero» italiano, come in certo senso esiste nell’America Latina, senza armi, senza prepotenza e senza sopraffazione, che può diventare veramente strumento di diffusione della civiltà italiana e latina. Questo dico anche per tentare i giovani perché non si ostinino a guardare i metodi del passato e nel loro ardore di vedere qualche cosa di nuovo, di dinamico, alzino un po’ gli sguardi, direi, sollevino il proiettore, guardino un po’ più in là perché il mondo è vasto e grande, ma è necessario presentarsi in atteggiamenti spirituali diversi. Oggi l’imperialismo, se vogliamo servirci di questa parola, è l’imperialismo del lavoro e della cultura. [Concludo ringraziandovi, dopo essermi permesso di farvi questa raccomandazione.

Esprimo inoltre il dispiacere di non poter assistere a tutte le relazioni, ma mi farò riferire dall’amico Togni. Esprimo infine l’augurio che questo Convegno sia uno di quelli preparatori per la grande Conferenza dell’anno prossimo dove, speriamo di poter dare il nostro contributo diretto nella partecipazione al Congresso e soprattutto di offrire l’esempio di un popolo che lavora, che ha la speranza di riuscire e soprattutto la volontà e il diritto di riuscire].

(Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, ASMAE – SegrDG, b, 26)