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1 aprile 1952
Onorevoli senatori, desidero innanzi tutto ringraziare molto il senatore Merzagora per la vasta, accurata ed approfondita relazione con la quale ha accompagnato la presentazione al Senato del bilancio del Ministero degli Affari Esteri. Egli ha richiamato alla vostra attenzione i problemi funzionali e organizzativi del ministero, la struttura e i metodi del suo organismo. Sarei grato agli onorevoli senatori se, accettando il suggerimento del senatore Merzagora, volessero soffermarsi in modo particolare, nel corso della discussione, sull’analisi dello strumento e del meccanismo per mezzo dei quali si attua la nostra politica estera, sui singoli stanziamenti del bilancio, sulla organizzazione dei servizi, e sui settori particolari, che formano nella relazione oggetto di concrete considerazioni.
Non intendo in questo momento illustrare le nostre linee fondamentali di politica estera. Lo farò, quando occorra, riassumendo, alla fine, il dibattito che oggi s’inizia, ma pur senza voler innovare nella solita prassi, anzi deviando da essa solo per considerazioni eccezionali, intendo qui proporre in una enunciazione descrittiva dati di fatto e cifre, onde rendere la vostra discussione più concreta e più proficua. Anticiperò solo un breve cenno sul problema di più immediato interesse. Il governo è consapevole che il problema di Trieste e del Territorio libero è quello che tiene più in ansia la coscienza nazionale. In questo momento però sono in corso delle conversazioni internazionali destinate a predisporre un esame in comune. Si comprenderà quindi ch’io debba mantenere un certo riserbo.
Debbo ricordare però, riconfermando o integrando dichiarazioni antecedenti, che per quanto riguarda la questione di fondo del Territorio libero, una nuova fase era in corso dopo la conferenza di Lisbona, in quanto che le Potenze atlantiche e più particolarmente l’Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti, si erano convinte che le speranze di una soluzione concordata fra Italia e Jugoslavia erano destinate a naufragare definitivamente, se esse Potenze non fossero intervenute, nello spirito delle loro precedenti enunciazioni e nell’interesse dell’alleanza atlantica. Credo di sapere che fu proprio il ministro Eden a prendere in proposito l’iniziativa di uno scambio di idee fra le cancellerie più direttamente interessate, ed è certo dovuta al nuovo spirito con cui si giudicano le cose, la determinazione d’indire a Trieste le elezioni, secondo il presente sistema italiano. Ma prima ancora che questo scambio d’idee maturasse in conclusioni precise, intervenivano gli incidenti di Trieste, i quali collocavano in prima fila, per la necessità di provvedimenti immediati, la questione dell’assetto amministrativo della zona A.
La conferenza dunque che abbiamo chiesto e ottenuto per esaminare a Londra in comune con gli alleati occupanti la zona A non è surrogatizia della trattativa diplomatica generale, riguardante il Territorio libero, ma riguarda solo intese sulla zona A «atte ad assicurare una più stretta collaborazione fra gli alleati e l’Italia e fra le autorità alleate e le autorità locali». La formulazione della proposta fu molto prudente e circoscritta, perché noi stessi non perdiamo di mira il problema integrale del Territorio libero e le sorti della zona B; e se la situazione creatasi a Trieste rende più urgente un’intesa cogli amministratori della zona A, vogliamo evitare anche la sola parvenza di non dare adeguata considerazione al travagliato destino della zona amministrata dalla Jugoslavia. Non altrettanto circospetto e prudente – se dobbiamo prendere atto del suo discorso di ieri – è stato invece il maresciallo Tito, il quale nega financo il nostro diritto sulla città di Trieste e qualifica le nostre rivendicazioni con un linguaggio a mala pena comprensibile nell’immediato dopoguerra. Tutta la concezione violenta, tutta la passione che abbiamo sentito sfogare dalla delegazione jugoslava durante la conferenza della pace, sentiamo ora rigurgitare in questo discorso. Tanti anni sono dunque passati invano?
L’avvicinamento dell’Italia democratica attuato anche attraverso quelle intese economiche che Mates nel suo discorso di avanti ieri ricordava come basi di una collaborazione fra i due paesi, ma che furono rese possibili solo con le nostre anticipazioni creditizie, non è dunque, secondo Tito, che un «rinnovato tentativo imperialista»? Il maresciallo ha accennato a delle trattative per il problema del Territorio libero. In realtà non vi furono negoziati, perché i sondaggi non offrirono una base per trattative: i suggerimenti che venivano da parte jugoslava non erano accettabili, non perché gli italiani vi opponessero delle pretese imperialiste, ma perché tali proposte non salvaguardavano l’esistenza nazionale degli italiani nel Territorio libero e non offrivano alcuna possibilità di collaborazione pacifica fra italiani e slavi.
Nessuno potrà credere, ad esempio, che un territorio dichiarato misto e amministrato in comune, o alternativamente, rappresenti uno strumento di collaborazione e di pace: specie quando vi dominano concezioni e sentimenti come quelli espressi in codesto discorso; del quale si comprenderà ch’io non voglia occuparmi ulteriormente, per non avvelenare la polemica in modo irreparabile. Ma esso merita di essere letto e meditato. Lo facciano gli italiani specie coloro che hanno tanto svalutata la «dichiarazione tripartita»; lo facciano gli «occidentali» contro cui è rivolto così minaccioso linguaggio polemico, solo perché si sono dichiarati disposti ad esaminare con noi la situazione amministrativa della zona, a loro per trattato affidata.
Oggi per conto mio voglio limitarmi a rispondere solo a una questione conclusiva che il maresciallo pone al governo italiano ed a me personalmente. «Volete – egli chiede – che il popolo jugoslavo sia vostro amico o volete che siamo nemici? Si vuole rafforzare la pace oppure no?». Rispondo: vogliamo la pace, cerchiamo l’amicizia, ma l’amicizia con dignità e la pace con giustizia. E al discorso irato di Tito rispondo con la calma di chi ha ragione: maresciallo, cerchiamola entrambi, questa conciliazione! Per quanto ci riguarda, nulla vi chiediamo che vi umilii, nulla di quanto vi appartiene, niente che possa pregiudicare l’auspicata collaborazione fra due popoli destinati a vivere in breve spazio, l’uno accanto all’altro! E passiamo ora a un panorama più generale, che sarà oggetto dei vostri interventi.
Per quanto riguarda l’attività della NATO, l’organizzazione del trattato nord-Atlantico ha ulteriormente sviluppato la sua efficienza e la partecipazione italiana ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo di un nuovo spirito di intensa collaborazione fra i paesi firmatati del trattato, non solo per la difesa, ma anche nei vari settori politico, economico, emigratorio, sociale e culturale. Ciò rappresenta lo sviluppo concreto di quanto previsto sin dalla origine nell’articolo 2 del Patto atlantico; tutti i paesi membri hanno riconosciuto la fondatezza della proposta, avanzata dall’Italia e da altri nella conferenza di Ottawa, per dare un contenuto sempre più concreto a quella che può ormai propriamente essere chiamata la «comunità atlantica», ora che il più urgente problema della difesa è stato avviato a soluzione. Le conferenze di Roma e di Lisbona hanno permesso di far stato dei progressi raggiunti nell’ambito della collaborazione fra tutti i membri della comunità ed hanno gettato le basi per nuove realizzazioni concrete in questo campo, che sono ora affidate direttamente al Consiglio atlantico e non più a comitati speciali di studio.
Naturalmente la NATO ha proseguito il suo sforzo difensivo, allo scopo di costruire una barriera sempre più efficace, che permetta ai 14 paesi membri di sviluppare con tranquillità le proprie pacifiche attività. Anche in questo campo è stato raggiunto un risultato di eccezionale importanza: cioè la cosiddetta conciliazione, anzi l’inquadramento dello sforzo difensivo nella situazione economica dei vari paesi. I piani di difesa, sia quelli già in corso di realizzazione, sia quelli per gli anni futuri, sono stati studiati e determinati in stretta relazione con le possibilità economico-finanziarie dei paesi NATO.
È stato questo il risultato dei lavori del Comitato dei dodici saggi che, in tre mesi di attività a Parigi, ha compiuto una rassegna della situazione economica generale di ciascun paese NATO, valutandola nelle sue componenti essenziali e traendo le necessarie conseguenze per quanto concerne in particolare le possibilità nazionali di finanziamento dello sforzo difensivo sotto tutti i suoi aspetti (dal mantenimento delle truppe alla produzione dei mezzi per la difesa).
In tale sede l’Italia ha potuto richiamare l’attenzione degli Stati alleati sui problemi principali della sua struttura economica e sociale, problemi che condizionano le possibilità del nostro paese in tutti i campi. In questo quadro noi abbiamo annunziato ai Dodici quale sarebbe stato il bilancio della difesa italiana, esattamente come è stato annunciato a questa Camera: compiuto l’esame, accolta la nostra impostazione, i Dodici hanno riconosciuto che il nostro sforzo finanziario per la difesa era adeguato ed in armonia con la nostra situazione economica generale. L’ammontare del bilancio per la difesa è pertanto rimasto invariato e le spese che verranno fatte sui fondi stanziati in esso, unitamente agli aiuti in materiali da parte degli Stati Uniti e di altri paesi alleati, permetteranno alle forze armate italiane l’approntamento delle unità e dei mezzi previsti per l’Italia dai piani di difesa. È quindi lecito affermare che i sacrifici per la difesa sono stati inseriti nel modo più logico nel più ampio problema della stabilità economica dei paesi della comunità atlantica ed è da attendersi che essi porteranno, dopo la prima fase di assestamento, ad un intensificarsi dell’espansione economico-produttiva generale dei paesi alleati.
Per rendere più efficace l’azione dell’organizzazione atlantica, destinata a facilitare la realizzazione dei piani di difesa, coordinando nel modo più economico gli sforzi dei singoli governi, il Consiglio atlantico di Lisbona ha approvato una riorganizzazione degli organi civili della NATO. Questa si impernia sulla creazione della carica di segretario generale della NATO, con ampi compiti di coordinamento e di esecuzione delle decisioni concordate fra i 14 paesi. Il segretario generale sarà anche il vicepresidente del Consiglio atlantico, con incarico di presiederlo nel corso della sua attività continuata, che è stata ormai resa del tutto effettiva mediante la nomina dei rappresentanti permanenti di ciascuno dei 14 governi. Essi siederanno a Parigi con tutti gli uffici dell’organizzazione, avranno ampi poteri e responsabilità e rappresenteranno direttamente la volontà dei governi, in modo da poter concordare rapidamente le decisioni ed assicurarne l’immediata esecuzione.
La situazione attuale dell’organizzazione atlantica, di cui noi siamo membri attivi ed apprezzati, risulta perciò adeguata al grande compito di pace che i 14 paesi alleati si sono assunti. L’Italia può quindi trarre dai risultati raggiunti nello sforzo comune la tranquillità per proseguire la sua politica di pace e di progresso sociale ed economico all’interno delle sue frontiere non più indifese. Circa l’esercito europeo, la conferenza di Parigi, composta dalle delegazioni di esperti dei sei paesi partecipanti, da più di un anno lavora intensamente alla preparazione di un progetto di trattato per la comunità europea della difesa. Completato ormai il grosso dei suoi lavori, essa si dedica, in queste ultime settimane, a definire le questioni non ancora risolte. Le linee principali di questa nuova costruzione sono state fissate d’accordo dalle sei delegazioni, dopo un tenace lavoro di conciliazione tra le diverse legittime esigenze nazionali, lavoro ispirato alla volontà, comune a tutti, di creare finalmente un organismo nuovo, sopranazionale, primo solido nucleo dell’unità dell’Europa.
Avevo già in precedenza informato la Commissione degli affari esteri del Senato che, ancora durante i lavori della conferenza, avrei fatto un’esposizione completa delle linee principali della Comunità europea della difesa. È noto agli onorevoli senatori che l’idea della costituzione dell’esercito europeo ebbe origine dalla necessità, unanimemente riconosciuta, di far partecipare la Germania alla comune difesa dell’occidente e della sua civiltà e contemporaneamente trovare il modo per sopire, o meglio far scomparire, i conflitti che da secoli hanno dilaniato i popoli dell’occidente europeo, eliminandone le cause materiali e soprattutto gli stati d’animo che da esse facilmente derivano. Si è pensato quindi ad instaurare una solida fiducia reciproca, superando le consuete concezioni di alleanza e di coalizione, per introdurre il principio dell’integrazione, anzi della fusione degli eserciti. Il progetto di trattato prevede che il reclutamento, attuato dagli organi nazionali, venga compiuto in maniera uniforme sia per quanto riguarda la coscrizione come l’assunzione di personale di mestiere; unici saranno lo stato giuridico del personale, l’amministrazione delle forze, i regolamenti tattici e tecnici, l’organizzazione, i materiali, l’istruzione e la formazione dei quadri, l’uniforme, pur conservando i segni tradizionali dei corpi, che ricordano le glorie passate.
I membri delle forze armate, la cui situazione giuridica e tecnica è regolata in modo uniforme, fanno parte di unità cosiddette di base, di nazionalità omogenea, studiate per ogni forza armata, secondo le necessità funzionali. Nelle forze terrestri l’unità di base è il gruppo, nel quale si combina organicamente l’azione delle diverse armi per scopi tattici limitati. In altre parole il gruppo ha gli stessi compiti che negli eserciti nazionali sono tradizionalmente riservati alla divisione. Sono previsti tre tipi di gruppi: fanteria, corazzato, meccanizzato, con organici da 12.600 e 15.000 uomini, secondo le esigenze di pace o di guerra. Questi gruppi vengono inseriti nel corpo d’armata che costituisce il primo elemento integrato dell’esercito europeo. Il corpo d’armata comprende quindi da tre a quattro gruppi di differente nazionalità, uno stato maggiore integrato, un assieme integrato di unità di supporto tattico e logistico. Gli effettivi del corpo d’armata sono variabili: si aggireranno all’incirca sugli 80.000 uomini per un corpo d’armata di tre gruppi.
Nelle forze aeree l’unità di base è la mezza brigata, composta di elementi di nazionalità omogenea e di materiale omogeneo con effettivi dai 1.200 ai 1.800 uomini. L’unità superiore, comando tattico aereo, è composta di mezze brigate di nazionalità diverse, mentre i servizi, analogamente a quanto avviene per il corpo d’armata, sono anch’essi plurinazionali. Le forze navali sono composte di raggruppamenti omogenei secondo le esigenze tattiche, di entità quindi variabile. Dato il carattere particolare della marina da guerra, l’integrazione avviene quindi soltanto al livello dei comandi. Non sono comprese nelle forze navali da versare alla comunità europea le flotte di alto mare. Sono ugualmente escluse dalla comunità europea le forze necessarie per la difesa dei territori di oltremare degli Stati membri, per l’evidente ragione che, altrimenti, la comunità europea si addosserebbe la responsabilità della difesa anche di tali territori.
L’organizzazione militare territoriale dipende dagli organi della comunità per la parte che riguarda i servizi relativi alle necessità delle forze della comunità, mentre dipende dalle autorità nazionali per tutti quei compiti che sono squisitamente nazionali. Le istituzioni della comunità rappresentano l’ossatura giuridico-pratica dell’organizzazione. Il commissariato è l’organo rappresentativo della comunità e possiede facoltà proprie per l’esecuzione del suo compito. Le sue funzioni corrispondono, grosso modo, a quelle di un Ministero della Difesa. È un organo collegiale composto di nove membri, nominati per un periodo di sei anni; le designazioni sono compiute da tutti gli Stati partecipanti e non vi potranno essere più di due commissari della stessa nazionalità. I commissari non rappresentano i rispettivi governi, ma sono i membri di un organo sopranazionale, che deve operare e decidere nell’interesse della comunità.
Il Consiglio dei ministri, composto dei rappresentanti di ciascun governo, esercita funzioni di controllo sull’opera del Commissariato con lo scopo precipuo di far concordare la politica del Commissariato con la politica e gli interessi dei governi dei paesi partecipanti. A tale scopo ha potere di dare al commissariato direttive generali con effetto vincolante. Le decisioni del Consiglio dei ministri per le questioni più importanti, che mettono in gioco gli interessi essenziali dei paesi partecipanti, vengono prese all’unanimità; per le altre questioni è stata fatta una suddivisione fra quelle che debbono essere decise, a seconda della loro importanza, dalla maggioranza di due terzi o a maggioranza semplice. Si è in tal modo ottenuto di conciliare le esigenze di un rapido ed efficiente funzionamento del Commissariato con l’esigenza, altrettanto fondamentale, di non compromettere gli interessi e le prerogative degli Stati partecipanti, quando si tratti di questioni che possono incidere in maniera rilevante sulla vita dei paesi.
L’assemblea, infine, è l’organo di controllo composto dalle delegazioni dei singoli Parlamenti nazionali, affinché fin dall’inizio questi possano continuare in seno alla comunità europea l’opera di controllo dell’esecutivo che rappresenta la loro prerogativa preminente. Il bilancio per il mantenimento delle forze della comunità è unico e alimentato dalle contribuzioni dei singoli Stati; viene preparato dal Commissariato e sottoposto al Consiglio dei ministri, il quale deve approvare all’unanimità sia il contributo dei singoli Stati, sia l’ammontare totale delle spese.
Finché non sarà trovata una formula automatica di ripartizione delle spese fra i diversi Stati, a seconda delle singole capacità contributive, la determinazione dei singoli contributi nazionali avverrà secondo i princìpi ormai accettati in seno alla NATO ai quali ho accennato in precedenza. La costituzione della comunità non costituisce quindi, in alcun modo, una causa di aumento dello sforzo finanziario per la sicurezza. Vi è anzi da prevedere che, dopo la prima fase di organizzazione, l’uniformità e standardizzazione degli armamenti ed equipaggiamenti provocherà una diminuzione dei costi unitari e quindi una utilizzazione più economica dei fondi disponibili. Il contributo di ogni Stato sarà comunque votato annualmente dai Parlamenti nazionali. Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri della comunità, il bilancio è infine sottoposto all’assemblea.
Per il controllo circa l’esecuzione delle spese è infine prevista la costituzione di un organo di controllo con funzioni analoghe a quelle della nostra Corte dei Conti, nonché di un controllore finanziario, il quale dovrà dare il suo visto preventivo ad ogni impegno di spesa ed esecuzione di pagamenti. È infine prevista la costituzione di una Corte costituzionale la quale avrà funzioni di dirimere i conflitti di interpretazione ed applicazione del trattato, che possono sorgere tra gli Stati della comunità, nonché di offrire una competente sede giurisdizionale ai privati che vedessero i propri interessi lesi dalle attività della comunità.
È ancora allo studio il collegamento giuridico col Patto atlantico e col trattato di Bruxelles: si tratta più che altro di concordarne la formulazione, dato che nessun nuovo obbligo di garanzia dovrà derivarne e che la esecuzione degli impegni deve avvenire conformemente alle singole procedure costituzionali. Rispettando cioè, per quanto riguarda l’Italia, le prerogative del Parlamento in materia. Il trattato prevede, infine, che l’assemblea, entro sei mesi dalla sua entrata in funzione, prepari un progetto per la trasformazione della comunità in un organismo federale basato sul sistema bicamerale e la divisione dei poteri. Sarà quindi un’assemblea con veste di pre-Costituente europea. Non appena il progetto sarà pronto esso sarà inviato ai governi che dovranno, entro tre mesi, convocare una conferenza allo scopo di dar vita alla federazione europea. Se entro un anno dalla sua convocazione la conferenza non sarà pervenuta ad un accordo, gli Stati membri procederanno di intesa a rivedere la composizione dell’assemblea della comunità.
Come vedete, onorevoli senatori, l’impegno federalista introdotto nel trattato è di duplice ordine: da un lato i sei governi si impegnano a riunirsi in conferenza entro breve termine, un anno circa, dall’entrata in vigore del trattato, per risolvere il problema della federazione europea; dall’altro, ove i lavori della conferenza, per inopinate difficoltà o perché in quel momento la maggioranza parlamentare di qualche paese non si mostrasse disposta a proseguire rapidamente sulla via della federazione, sarà possibile, mediante la revisione della composizione dell’assemblea, dare a questa un contenuto più direttamente rappresentativo delle opinioni pubbliche dei paesi partecipanti e giungere, per questa via, ad una più intima fusione politica dei paesi. E se questa comunità, con legami ulteriormente stretti, basata su un’assemblea democratica, non si chiamerà federazione, ne avrà, di fatto, molte importanti caratteristiche.
Al Consiglio nord-atlantico di Lisbona le linee fondamentali del progetto hanno riscosso il plauso degli altri alleati atlantici, che hanno voluto marcare il loro riconoscimento per l’importanza storica dello sforzo che i sei paesi stanno compiendo. Infatti dalla primitiva ricerca di mezzi per rafforzare la difesa dell’occidente, si è a poco a poco venuto delineando un obiettivo ben più ampio: la realizzazione dell’unità europea e l’abolizione degli storici conflitti che da secoli dilaniavano l’Europa occidentale. Conflitti che, in un mondo così strettamente legato ed interdipendente quale è quello moderno, erano ormai divenuti vere e proprie guerre civili. Il governo italiano è fiero di aver potuto portare alla costruzione il suo contributo, effettivo e da tutti apprezzato, ottenendo che fosse inserito nel progetto di trattato l’incentivo per la creazione della federazione europea, i cui organi saranno ispirati alle tradizioni democratiche e parlamentari comuni ai sei paesi partecipanti.
Non appena firmato e ratificato il trattato, dovrete designare, onorevoli senatori, i vostri delegati all’assemblea della comunità: essi parteciperanno fattivamente al lavoro preminente dell’assemblea stessa, la preparazione della costituzione federale. È stata questa una proposta italiana che, nelle riunioni dei ministri degli Esteri dei sei governi, a Strasburgo ed a Parigi, ha trovato l’adesione degli altri partecipanti. Fedeli ai programmi che abbiamo sempre enunciato, abbiamo così dato concreta attuazione alle nostre aspirazioni europeistiche e ci auguriamo che i Parlamenti dei sei paesi, quando dovranno esprimersi sulla nostra opera, vorranno consacrare con la loro approvazione lo sforzo dei governi. Ci auguriamo anche che gli altri paesi europei, le cui istituzioni si ispirano agli stessi princìpi democratici, vogliano presto aggiungere i loro sforzi ai nostri su questa via, che noi riteniamo la sola atta a risolvere stabilmente ed efficacemente i gravosi problemi che affliggono l’Europa moderna: siamo convinti infatti che non è ormai più possibile che gli Stati, singolarmente, possano dare ai propri popoli quella sicurezza e quel tenore di vita cui essi hanno diritto.
Soltanto l’Europa, nella riunione delle singole forze, risorse e capacità, potrà dare alle sue popolazioni la speranza di una vita migliore. Per quanto riguarda la proposta inglese circa il Consiglio d’Europa, sempre in relazione al continuo affermarsi del movimento per l’unificazione europea, segnalo che in occasione della decima sessione del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, tenutasi a Parigi il 19 e 20 corrente, il ministro degli Esteri britannico ha fatto conoscere con molta franchezza le proprie idee circa i compiti che l’avvenire potrebbe riservare alla organizzazione di Strasburgo. Egualmente preoccupato delle eventualità che il Consiglio d’Europa possa inaridirsi oppure evolvere verso forme semifederali con poteri legislativi ed esecutivi, alle quali la Gran Bretagna non potrebbe associarsi, Eden ha proposto che gli organi di Strasburgo vengano rinnovati in modo da poter servire quali istituzioni del piano Schuman e della comunità europea di difesa.
La proposta britannica è stata accolta con simpatia per l’intenzione che essa manifesta di stabilire più stretti legami con il continente europeo, pur dovendosi rilevare che essa solleva complessi problemi d’ordine politico e statutario, in relazione all’inserimento a Strasburgo del piano Schuman e della CED, problemi che potrebbero forse causare rallentamenti nell’avvio, pur pieno di promesse, delle due comunità a sei. Sotto questo profilo la proposta dovrà essere esaminata con la massima attenzione. Infatti, una premessa per noi indispensabile è che tale progetto tenga comunque conto della necessità di non creare modifiche, anche formali, che possano rimettere in giuoco le ratifiche del trattato della comunità del carbone e dell’acciaio e di risultati già acquisiti nei negoziati per l’esercito europeo.
Un giudizio definitivo sulla iniziativa britannica non potrà darsi fin quando non sarà conosciuto nei suoi dettagli il progetto per l’attuazione dei princìpi enunciati da Eden, attualmente in corso di studio al Foreign Office. Per quanto riguarda la nostra politica economica internazionale, desidero segnalare al Senato che gli indici relativi all’intercambio con l’estero dimostrano che esso, nell’ultimo anno, ha largamente superato quello del 1938. I risultati conseguiti, malgrado le note difficoltà strutturali e contingentali della nostra economia, vanno bene al di là dei soli benefici economici, in quanto rappresentano una vitale affermazione della politica italiana nei confronti dell’estero. In particolare desidero sottolineare l’ottimo risultato dato dalle commissioni miste, stabilite con i paesi aderenti all’OECE, per procedere periodicamente agli aggiustamenti dei rapporti economici e finanziari e alla risoluzione delle principali questioni in sospeso.
Tale sistema di contatti diretti si è dimostrato utile, ed ha dato ottimi risultati, particolarmente nei riguardi del Regno Unito, della Francia, della Germania, della Svizzera e del Benelux. In genere i rapporti economici del nostro paese con le diciotto nazioni partecipanti all’OECE hanno subito negli anni recenti un notevolissimo incremento, rispetto al 1947. Delle centinaia di accordi economici e finanziari raggiunti nell’ultimo quinquennio, neppure uno è rimasto in sospeso; tutti non solo sono stati concordati, ma hanno avuto applicazione molto soddisfacente. D’altra parte, persuasi che, dopo il periodo di stasi seguito alla guerra, l’Italia debba anzitutto riprendere interesse ai lontani mercati delle Americhe e dell’Asia nonché a quelli del vicino oriente, ove maggiore è la possibilità di nostre affermazioni di pacifica politica, abbiamo già conseguito o rinnovato accordi di largo contenuto con alcuni paesi extra-europei, mentre con altri abbiamo iniziato e conduciamo non facili trattative.
Nel dicembre 1950 è stato concluso un accordo di pagamenti italo-britannico in sostituzione del precedente, rendendo possibile l’incremento dei nostri traffici oltre che con il Commonwealth anche con i paesi del vicino e medio oriente, dove siamo riusciti a riprendere e talvolta a superare le posizioni prebelliche. Le relazioni commerciali con tutta l’area della sterlina, che ha importanza fondamentale per l’economia italiana non solo per il volume degli scambi ma perché ci fornisce buona parte delle materie prime essenziali, hanno tuttavia mostrato, negli ultimi mesi non poche difficoltà dovute soprattutto alle ben note restrizioni alle importazioni adottate dal governo britannico. In conseguenza, i lavori dell’ultima sessione del comitato economico, tenutasi nel gennaio del corrente anno, sono stati diretti soprattutto ad evitare che il peso della crisi economica britannica si riversasse in misura eccessiva sul nostro paese. Importanti accordi economici sono stati stipulati nel corso del 1951 con il Portogallo, la Spagna, la Francia, la Germania occidentale, l’Unione economica belgo-lussemburghese, la Svizzera, l’Olanda, la Jugoslavia, la Finlandia e l’Austria. Si ritiene di poter quanto prima iniziare trattative con la Grecia, la Polonia e la Cecoslovacchia per la conclusione di nuovi accordi commerciali e di pagamenti.
Per il settore dell’America latina sono stati, nel 1951, conclusi accordi commerciali con l’Ecuador e l’Uruguay, mentre sono in corso trattative per la conclusione di nuovi e talora complessi accordi con Argentina, Cile, Columbia, Costarica, El Salvador, Haiti, Honduras, eccetera. In estremo oriente, mentre i rapporti economici con la Cina sono scesi a livelli bassissimi, con il Giappone dovranno tra breve iniziarsi le conversazioni per la conclusione di un accordo commerciale e di un accordo di pagamenti. Anche con la Repubblica delle Filippine sono da tempo in corso trattative per la conclusione di un accordo commerciale. Per quanto riguarda l’emigrazione, l’azione del governo italiano continua ad esercitarsi in tutti i modi, presso i singoli governi e presso i competenti organismi internazionali, allo scopo di utilizzare convenientemente l’eccesso di mano d’opera italiana.
Soprattutto attraverso la nostra azione in sede diplomatica e in quella delle organizzazioni internazionali il problema della sovrapopolazione europea è ormai riconosciuto come un problema di importanza e di responsabilità mondiale. Nel novembre scorso è stata convocata, su iniziativa del governo americano, la conferenza di Bruxelles, dalla quale è nato il comitato intergovernativo provvisorio per i movimenti migratori europei, finanziati dagli Stati Uniti per 10 milioni di dollari e per il resto da paesi di emigrazione e di immigrazione e, per la prima volta, da terzi paesi non interessati direttamente al problema. Nell’anno in corso è previsto che tale comitato provveda, con la spesa di circa 38 milioni di dollari, al trasferimento oltre oceano di 137 mila emigranti europei – e tra questi da 35 a 50 mila italiani – non in grado di sopportare in proprio tutta o parte della spesa di viaggio.
Un nuovo accordo per l’emigrazione, particolarmente importante, è stato stipulato nello scorso anno con l’Australia per l’emigrazione colà di contingenti di determinate categorie di lavoratori richiesti dagli australiani. Un nuovo accordo è stato raggiunto anche con la Francia per il coordinamento, l’aggiornamento e la semplificazione dei precedenti accordi di emigrazione. Onorevoli senatori, con ciò ho finito il panorama descrittivo che volevo sottoporre al vostro esame per rendere più concreta la vostra discussione. Mi riservo, naturalmente alla fine della discussione stessa, di tornare sulla parte della direttiva politica che ha ispirato l’opera del governo. (Vivi applausi dal centro e dalla destra).
(Atti Parlamentari, Senato della Repubblica, I legislatura, Discussioni, pp. 32271-32278)