La nostra Patria Europa

DOCUMENTI − DE GASPERI E LA CED

«L’unità europea nel solidarismo cristiano»

Discorso al Convegno delle “Nouvelles Equipes Internationales”
Sorrento, 14 aprile 1950

In questi giorni ho letto sui giornali che questo è una specie di Cominform. Qui non si tratta di regolare o di fissare i termini di un comune atteggiamento politico e sociale, ma piuttosto di constatare l’identità dei principi e della nostra ispirazione, la quale deve portare ad una certa similarità se non uniformità di soluzione dei problemi comuni. Il problema principale è l’unità europea, può essere ottenuta sul piano economico con la bilancia dei pagamenti fra l’Europa e l’America?

Noi siamo tutti ammiratori del Piano Marshall e lo apprezziamo; ma non bisogna nutrire esagerate speranze circa i suoi effetti quanto alla cooperazione europea. Ci si possono fare delle illusioni in proposito. Io non parlo della meccanica del Piano Marshall. È noto tuttavia che il deficit europeo nel 1952 raggiungerà ancora forse i tre o più milioni di dollari. Oltre a ciò la produzione dell’Europa sarà aumentata del 30% rispetto alla cifra del 1938. La produzione industriale americana oltrepassa già dell’80% il livello del ’38 e continua ad aumentare. Ci si domanda come si potrà arrivare a un equilibrio se si pensa che esisterà ovunque un eccesso di produzione. Da qui la necessità di trovare nuovi sbocchi nei terreni arretrati e insufficientemente sviluppati nel mondo intero.

È il problema del 4° punto del presidente Truman. Si arriva dunque ad una concezione non soltanto europea, ma universale. Una concezione, inoltre, di natura sociale, un problema sociologico. Non è dunque la soluzione soltanto economica che ci porterà a quella politica; non è un problema soltanto economico. È una soluzione di giustizia sociale fra tutti i popoli del mondo. L’aspetto attuale è perciò un aspetto morale e di giustizia.

Voi vedete la complessità dei problemi economici in Europa. Mentre da una parte la dittatura sovietica nei paesi satelliti porta rapidamente ad una forzata coordinazione razionale dell’economia attraverso la collaborazione obbligatoria dei monopoli di Stato, per contro in Europa occidentale abbiamo paesi dirigisti e paesi liberisti. Anzi, per esempio, in Gran Bretagna si ha l’impressione che il dirigismo tenda ad assumere talvolta l’aspetto di un certo nazionalismo economico. Parlando con uomini responsabili britannici si ha la sensazione che essi temano di mettere in giuoco con l’unione dell’Europa, la soluzione liberista.

Un altro esempio è la svalutazione, che apparve come un atto di egoismo economico. Io credo che in questo atteggiamento si trovi la questione principale: non si è facilmente disposti ad una unione che comporti la necessità di adattamenti. Eppure è necessario trovare una mediazione tra i due sistemi. Essa non si può trovare che nel solidarismo cristiano. Non lotta di classe, ma controllo per arrivare ad un trasferimento di una parte della proprietà e del reddito alle classi non abbienti e lavoratrici; conservando tuttavia la molla dell’iniziativa privata.

Noi accettiamo senza riserve il metodo democratico anche per la difesa dei diritti di classe, perché essi sono i diritti dell’uomo; ma i diritti dell’uomo sono fondati sul diritto di Dio; ecco dunque che noi possiamo dare un contributo fondamentale all’unificazione dell’Europa. Noi possiamo accettare un dirigismo moderato in Europa e anche nel mondo, noi che siamo per una giustizia sociale temperata dalla preoccupazione della libertà, nel sistema democratico. Noi possiamo pensare da europei; ma vogliamo inquadrare questo pensiero nel concetto universale del cristianesimo.

Se possiamo pure superare le frontiere delle Chiese e anche della cristianità, è perché la nostra vocazione è universale, così come è universale la redenzione e la nostra speranza nella Provvidenza, la quale governa il mondo intero.

Dobbiamo fare presto. Purtroppo c’è ancora la liquidazione della guerra; ci sono i trattati di pace da fare. Per questi non ho naturalmente una soluzione da proporre; ma quando c’è la volontà, c’è la possibilità. Io rivolgo un amichevole appello ai nostri amici di Francia e di Germania; io li prego di fare presto e di vedere lontano. Bisogna superare le barriere del passato in nome del futuro europeo, in nome della salvezza comune.

Ho ricevuto un invito da una sezione del partito democratico tedesco di Essen per fare un discorso elettorale in vista delle prossime elezioni renane. Mi è sembrato un po’ strano e ingenuo. Però l’invito mi ha commosso, perché mi ha ricordato un altro discorso da me fatto nel 1921 (vedete come sono vecchio) quando con don Sturzo venivo a Colonia, dove avevo conosciuto l’allora borgomastro Adenauer, e parlavo in una adunanza di operai cristiani, minatori la maggior parte, per ringraziarli a nome di tutte le democrazie di aver resistito all’attacco comunista di quell’epoca.

Non so se molti ricordano quel terribile sciopero insurrezionale; se non ci fosse stata la difesa renana – e in maggioranza erano lavoratori cristiani – forse la partita sarebbe stata perduta per l’Europa. Ho voluto ricordare questo, ripensando ai fatti che avvennero dopo di allora e che diedero un contributo negativo all’unità europea. Ma è giusto ricordare anche i fatti che li precedettero, quando questi popoli potevano liberamente esprimersi e organizzarsi in nome del cristianesimo.

 Recentemente parlavo con un rappresentante autorevole di politica estera di un paese dell’America meridionale, il quale era invitato a fare opera di mediazione tra le divergenze esistenti fra il Pakistan e l’India. Era stato là per due mesi e aveva studiato questo mondo immenso, l’aveva studiato sotto la minaccia comunista, soprattutto dal punto di vista sociale.

Diceva: «Che cosa vorrebbe dire comunismo se non ci fosse qui (parlo dell’India e paesi confinanti) un’immensa quantità di uomini che non hanno da mangiare, che soffrono la fame e la miseria, e hanno una cultura arretrata? Quale responsabilità per noi cattolici: quale responsabilità per gli stessi credenti musulmani di fronte a questo problema sociale!».

Bisogna risolverlo e tutti ne abbiamo la consapevolezza, perché questo solo è il metodo definitivo di tenere lontano il maggiore pericolo di carattere politico e sociale. Lo stesso diplomatico, presidente di una Commissione internazionale, che era venuto nei paesi del Mediterraneo per esercitare la missione pacificatrice fra gli Stati arabi e Israele, aveva avuto occasione di esperimentare e di saggiare i contrasti politici, di riflettere sopra le possibilità avvenire e di trarre conclusioni.

Mi diceva: «Così ho visto le difficoltà di tutto il mondo, perché quelle dell’Europa e dell’America già le conoscevo. Ho sentito ed esaminato tutte le formule. Ho visto tutte le possibilità di intervento. Ho cercato la linea di compromesso fra i diversi conflitti, ma ho trovato che c’è, in fondo, una sola civiltà al mondo: è la civiltà mediterranea, che qui si è sviluppata e nata e poi si è maggiormente sviluppata con il concorso di tutti gli altri popoli del mondo».

In questi giorni, nelle montagne qui vicine, sono andato a visitare le antiche chiese di Ravello, della Repubblica di Amalfi, ho visto i segni di antiche civiltà, ho visto come le civiltà si sovrappongono e si integrano. Quando noi parliamo di civiltà occidentale non ignoriamo che i limiti fra civiltà occidentale e civiltà orientale, sono di per sé anche costituiti da differenze politiche attuali, ma sappiamo pure che scaturisce da una sola fonte che governa l’Europa e l’America. Non la ignoriamo certo, ma diciamo: che cosa vale; a che cosa varrebbe questa trasformazione di regimi e cambiamenti territoriali, a che cosa varrebbe, se domani tornassero in Europa le guerre? Che valore avrebbe il senso sostanziale della civiltà chè l’applicazione nella realtà sociale del principio evangelico, se non riusciamo a rendere giustizia al povero, se noi cattolici non applicassimo lo spirito del Vangelo?

Io spero dunque che in queste vostre riunioni, oltre alle formule unificatrici delle risoluzioni, avrete riconfermato nel vostro spirito che una cosa sola è essenziale. Questa sola esige tutti i sacrifici, questa sola esige i compromessi, esige compromessi personali, familiari, nazionali. Questa cosa è il senso unitario del consorzio umano, questo senso di fratellanza universale, al di sopra delle nazioni e della politica, che è l’eredità e il patrimonio del cristianesimo.

(Il Popolo, 15 aprile 1950)