La nostra Patria Europa

DOCUMENTI − DE GASPERI E LA CED

Discorso di De Gasperi: «La nostra patria Europa»

Conferenza Interparlamentare Europea,
Parigi, 21 aprile 1954

Signori presidenti, miei cari amici, l’onore che mi fate a chiamarmi a presiedere la Conferenza parlamentare europea a Parigi mi tocca vivamente. Voglio vedervi soprattutto una manifestazione della vostra amicizia e ve ne ringrazio. Non considerate, vi prego, i ringraziamenti che sentirete uscire dalla mia bocca come un omaggio alle usanze a cui il cuore non partecipa, ma piuttosto come un omaggio fraterno e sincero ai nostri ospiti. Invierò anzitutto un saluto rispettoso al presidente della Repubblica francese. Perché il presidente René Coty è per noi anche un amico, l’amico dei primi giorni, che è stato presente ai precedenti congressi parlamentari fino a quello del settembre 1949, a Venezia. Vi proporrei dunque di inviargli il nostro messaggio in questi termini: «La Conferenza parlamentare europea di Parigi invia al presidente della Repubblica francese il suo saluto rispettoso. Tutti i parlamentari presenti rimpiangono di aver perso un compagno fraterno dei loro Congressi e gioiscono di vederlo assumere le sue alte funzioni. Si augurano che il suo settennato sia felice per la Francia e veda uno sviluppo magnifico dello spirito europeo e delle istituzioni europee».

Vorrei anche proporvi di indirizzare al presidente Herriot, presidente uscente del nostro Consiglio parlamentare, tenuto lontano da noi da motivi di salute, il seguente telegramma: «La Conferenza parlamentare europea di Parigi invia al presidente del Consiglio parlamentare del Movimento Europeo i suoi sinceri auguri». Ringrazio il presidente dell’Assemblea Nazionale, Sig. Le Troquer, che ha tenuto a salutare di persona i parlamentari stranieri a nome dei parlamentari francesi, per il suo discorso chiaro e vigoroso che porta il suo marchio. Vi chiedo ora di associare ai nostri ringraziamenti i due uomini senza cui questa conferenza non avrebbe potuto avere luogo: il presidente Monnerville, che ci ha concesso il privilegio di riunirci nella sala riunioni del Consiglio della Repubblica e ci ha accordato le più liberali facilitazioni e il Sig. Georges Bidault, ministro degli Affari esteri, che ha ottenuto per noi l’ospitalità francese e i mezzi organizzativi necessari. Assieme a loro, vi chiedo di ringraziare uno dei nostri colleghi, una donna francese che saluto rispettosamente, Madame Germaine Peyroles, che ha aiutato con i suoi consigli e la sua influenza la nostra organizzazione. Il Consiglio parlamentare del Movimento europeo che ci riunisce qui è nato dalla fusione, nel maggio 1952, fra l’Unione parlamentare europea e il raggruppamento parlamentare del Movimento europeo. Vorrei esprimere al conte Coudenhove Kalergi, fondatore dell’Unione parlamentare europea, la nostra ammirazione per il primo pioniere europeo della nostra generazione, la nostra deferenza per una vita totalmente consacrata all’unità europea, la nostra gioia di vederlo fra noi.

Mi sembra giusto ribadire la nostra amicizia e la nostra riconoscenza agli uomini che hanno animato negli ultimi anni l’organizzazione europea: per l’Unione parlamentare europea il suo passato presidente Sig. George Bohi, il Signor Enzo Giacchero e il Sig. Léon Maccas; per il raggruppamento parlamentare del Movimento europeo il Sig. Duncan Sandys e il Sig. Mackay, oltre ai presidenti successivi Paul Ramadier e Guy Mollet, e il senatore Etienne de la Vallée Poussin, segretario parlamentare. Signori presidenti, miei cari amici, permettetemi di richiamare la vostra attenzione sulla forma che abbiamo tentato di dare a questa nostra Conferenza. Voi sapete che il nostro obiettivo principale è di facilitare i lavori e di provocare l’incontro dei parlamentari delle nostre Assemblee. Le nostre riunioni non sono destinate e prendere decisioni politiche che spettano ai Parlamentari, detentori delle sovranità nazionali, ma sono liberi incontri, colloqui tra le varie tendenze e le varie nazionalità, un foro nel quale possono confrontarsi pareri diversi, ma tutti egualmente animati dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa.

Tra i problemi che si pongono attualmente alle nostre coscienze, noi ne abbiamo scelti alcuni essenziali, e per trattare di ciascuno di essi abbiamo fatto appello a personalità, uomini politici o alti funzionari, la cui esperienza fosse considerevole. Le discussioni seguiranno i diversi rapporti. Ma la nostra Conferenza non voterà delle risoluzioni, non si dividerà in una maggioranza ed in una minoranza. Quali che siano le divergenze, che non cercheremo di dissimulare, le affinità profonde e le volontà comuni parleranno da sé… Ciò premesso, circa il nostro programma, mi sia consentito di dirvi con quale animo io vengo tra voi. Dopo aver parlato al Congresso dell’Aia nell’ottobre scorso davanti ai rappresentanti dei paesi che si sono voluti chiamare la «Piccola Europa», sono felice di poter ora levare lo sguardo verso più vasti orizzonti e di salutare qui i parlamentari di un’Europa formata dalla maggior parte dei paesi che si improntano alla sua civiltà e alla sua storia. Proprio in questa sala, io sono stato citato a comparire or non sono molti anni, per ascoltare le sanzioni della guerra. Oggi, noi ci riuniamo in piena fiducia per adoperarci all’unione dei nostri popoli.

Tutte le nazioni associate al Consiglio d’Europa sono rappresentate in questa Conferenza, nella quale vedo con soddisfazione la numerosa delegazione britannica, nella quale abbiamo anche il piacere e l’onore di accogliere degli emeriti parlamentari appartenenti a due paesi particolarmente cari agli europei: la Svizzera, culla della libertà e terreno di prova della democrazia, e la nuova repubblica austriaca, sentinella verso l’Oriente della civiltà occidentale. Questa Assemblea interparlamentare, che non aveva finora mai raggiunto proporzioni così vaste e di tale genere, assume pertanto un significato ed un valore particolare; ma ci costringe a limitarne i compiti. Noi non discuteremo ad esempio di un argomento che, attualmente, costituisce uno dei più importanti che siano sottoposti alle decisioni sovrane di ogni Stato in particolare, vale a dire non parleremo della Comunità di Difesa. Non, naturalmente, per misconoscenza di questa struttura capitale, nocciolo iniziale dell’integrazione desiderata, ma perché il soggetto ha oltrepassato il limite delle discussioni di carattere generale e si trova ormai già giudicato, o in procinto di esserlo, da parte dei Parlamenti nazionali. È una questione in ogni modo che, per quanto possa essere considerata di massimo interesse europeo, non concerne direttamente o nella stessa misura tutti i paesi qui rappresentati. Certo, le alleanze difensive e soprattutto gli armamenti che ne sono la conseguenza, costituiscono una dura necessità preliminare. Infatti, noi non possiamo erigere l’edificio della Comunità Europea se non abbiamo prima tracciato intorno al nostro suolo un bastione protettivo che ci permetta di intraprendere all’interno il lavoro costruttivo che esige tutti i nostri sforzi di paziente e lunga cooperazione.

Ma, appena saranno state prese le precauzioni necessarie al mantenimento della pace, bisogna riconoscere che la vera e solida garanzia della nostra unione consiste in una idea architettonica che sappia dominare dalla base alla cima, armonizzando le tendenze in una prospettiva di comunanza di vita pacifica ed evolutiva. Io non credo che questo pensiero dominante possa essere imposto da una sola delle correnti di idee che ai giorni nostri si sono affermate nella civiltà europea come prodotti della sua evoluzione culturale, sociale e politica. Mi pare che questa idea dominante non possa essere rappresentata dal solo concetto liberale sull’organizzazione e l’uso del potere politico. Questo concetto tuttavia, il quale presuppone le libertà essenziali alla base della vita pubblica, costituisce un elemento indispensabile all’elaborazione di quelle linee architettoniche fondamentali per l’edificio che stiamo per costruire. Né potrebbe bastare a questa costruzione la sola idea della solidarietà della classe operaia.

Eppure questa solidarietà, superando col suo impulso internazionalista le frontiere degli Stati, potrebbe sembrare la meglio qualificata per frenare e reprimere gli eccessi dei nazionalismi, favorendo lo slargamento del mercato del lavoro e delle merci. In dati momenti storici, essa ha infatti agito in questo senso, ma talvolta anche in senso inverso. Le cause di debolezza in questi casi sono diverse, e talune derivano precisamente dall’eccessiva limitazione dello spazio vitale della classe operaia. A causa di questa limitazione gli operai sono spinti a cercare la soluzione dei loro problemi nella lotta di classe all’interno dei rispettivi paesi; ed in questa lotta hanno, talvolta, perduto la coscienza di quella che è la caratteristica più importante del Movimento Europeo, cioè la coscienza della funzione eminente, non dello Stato o della collettività, ma dell’uomo e della persona umana.

Oggi una parte della classe operaia subisce la suggestione dello Stato e si trova per il momento in contrasto con l’ideale europeo, indebolendo il ruolo che potrebbe esercitare il movimento operaio in opposizione con le tendenze totalitarie del bolscevismo. Né bisogna però sottovalutare il contributo che proprio dall’umanesimo che si trova all’origine del movimento socialista può essere portato alla formazione dell’unità morale dell’Europa. Se la solidarietà della classe operaia non è sufficiente a costituire da sola la base di quell’unità, la solidarietà di altri interessi, industriali e agricoli, lo sarebbe ancor meno. Certo, per l’unità europea lo slargamento del mercato comune è un argomento che offre la sua importanza, ma la libera concorrenza che ne sarebbe la conseguenza presenta anch’essa degli aspetti negativi che possono esser ridotti soltanto dalla forza di un sentimento o di un’idea capace di stimolare la coscienza e la volontà. Questo sentimento, quest’idea, appartengono al patrimonio culturale e spirituale della civiltà comune.

Se con Toynbee io affermo che all’origine di questa civiltà europea si trova il cristianesimo, non intendo con ciò introdurre alcun criterio confessionale esclusivo nell’apprezzamento della nostra storia. Soltanto voglio parlare del retaggio europeo comune, di quella morale unitaria che esalta la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, col suo culto del diritto ereditato dagli antichi, col suo culto della bellezza affinatosi attraverso i secoli, con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un’esperienza millenaria. È vero che queste forze spirituali rimarrebbero inerti negli archivi e nei musei se l’idea cessasse di incarnarsi nella realtà viva di una libera democrazia che, ricorrendo alla ragione e all’esperienza, si dedichi alla ricerca della giustizia sociale; è vero anche che la macchina democratica e l’organizzazione spirituale e culturale girerebbero a vuoto se la struttura politica non aprisse le sue porte ai rappresentanti degli interessi generali e in primo luogo a quelli del lavoro. Dunque, nessuna delle tendenze che prevalgono nell’una o l’altra zona della nostra civiltà può pretendere di trasformarsi da sola in idea dominante ed unica dell’architettura e della vitalità della nuova Europa, ma queste tre tendenze opposte debbono insieme contribuire a creare questa idea e ad alimentarne il libero e progressivo sviluppo. Ora sarà proprio questa nostra Assemblea che, nel corso dei prossimi dibattiti, si sforzerà di trovare i principi di una sintesi politica, sociale, economica e morale in base alla quale gli Stati sovrani possano decidere di edificare la casa comune.

Infine, che città potrebbe essere più adatta di Parigi per affermare la nostra volontà e rafforzare la nostra speranza? «Da cinque secoli, tutto ciò che è francese è universale e tutto ciò che è universale è francese», diceva Etienne Gilson. «Come una volta la Grecia – scriveva Maurois – la Francia ha il singolare privilegio di appassionare i popoli della terra al punto che tutti prendono parte alle questioni francesi». Sì, miei amici francesi, noi seguiamo con inquietudine le vostre questioni, con speranza i vostri sforzi e cerchiamo di imitarvi nei vostri successi, anche se a volte, ci capita perfino di essere indotti, sedotti dal vostro esempio, a ripetere i vostri errori. Le vostre molteplici esperienze vi hanno in ogni caso preservato dal pericolo di atteggiamenti estremi. Da un lato avete superato il pessimismo di Chateaubriand che, testimone della rivoluzione e di guerre sanguinarie, prevedeva il crollo della civiltà sommersa dai russi e, non credendo più nella missione civilizzatrice dell’Europa, consigliava a tutti di emigrare e si riservava solo il diritto di scegliere una tomba fra le rovine di Roma, vicino a quel Dio in cui credeva. Ma voi avete superato l’ottimismo romantico di Victor Hugo che diceva: «Un giorno, presto, domani, tutto cambierà forma E nell’immensità, come un fiore enorme, Sboccerà l’universo».

Anche nella dolorosa esperienza dei secoli e nel parossismo di tutte le crisi, sentite che siete proprio voi ad essere destinati a creare le nuove forme di una vita in comune più libera e più giusta.

(Archivi Storici dell’Unione Europea, ASUE – Fondo Alcide De Gasperi, Esteri, III, Europa, 7)